CORAGGIO E PAURA GAY

Parlando in chat con molti ragazzi gay osservo piuttosto spesso che quanti fanno fatica ad accettarsi come gay, in buona sostanza, finiscono per concentrarsi sulla dimensione soggettiva dell’essere gay e per trascurare, talvolta pericolosamente gli aspetti oggettivi che sono invece quelli potenzialmente più pericolosi.

Provo a fare una rapida sintesi degli elementi più ricorrenti. Un ragazzo gay che non si accetta:

1) Manca del tutto, nella grande maggioranza ei casi, di informazioni serie circa la vita reale degli altri ragazzi gay, in buona sostanza non sa con esattezza che cosa sta rifiutando e si fa spaventare dalla comune visione dell’essere gay in chiava patologica. In sostanza il rifiuto dell’identità gay deriva proprio dal non avere alcuna idea concreta di che cosa significhi essere gay, di come vivano realmente gli altri ragazzi gay, di quali siano le reali potenzialità di vita affettiva che si prospettano ad un ragazzo gay.

2) È portato a pensare che essere gay sia una questione legata soprattutto alla pratica della sessualità concreta trascurando in notevole misura e addirittura del tutto la dimensione affettiva della omosessualità che resta così ridotta a una realtà apparentemente più marginale e controllabile da parte della volontà.

3) Si ritiene “unico” e il confronto con i suoi amici etero non fa che incoraggiarlo in questa valutazione. Mi capita molto spesso di sentirmi raccontare episodi che sono assolutamente tipici dei ragazzi gay come se si trattasse di cose assolutamente uniche segno di una qualche “perversione” o patologia. Classico è il caso delle storie dei ragazzi gay frequentatori di piscine o di palestre che considerano “eccessivo” (patologico) sentirsi fortemente attratti da un bel ragazzo che hanno visto nudo nelle docce e altrettanto classico è il caso delle esperienze sessuali in età preadolescenziale. Molti ragazzi parlano di queste cose come se fossero capitate soltanto a loro anche se in realtà si tratta di sentimenti e di esperienze comuni praticamente a tutti i ragazzi gay e spessissimo anche ai ragazzi etero.

4) Ha problemi con la masturbazione e tende a reprimerla, a limitarla, o a ridurla a puro esercizio fisiologico, privandola delle fantasie masturbatorie a forza di volontà, proprio perché la masturbazione lo induce a rendersi conto del suo orientamento gay.

5) Sviluppa sensi di colpa legati alla sessualità in quanto ritiene che siano “normali” alcuni comportamenti ed alcune “fantasie sessuali” mentre ritiene che altre siano “perverse”. L’identificazione del “perverso” è condotta sulla base del sentito dire e delle opinioni comuni. La categoria del “perverso” tende ad allargarsi fino a ricomprendere quasi tutte le fantasie sessuali. Il rifiuto radicale della omosessualità è mascherato sotto forma di rifiuto delle “perversioni” lette in chiava patologica. Per questi ragazzi, in sostanza, l’interpretazione della omosessualità come psicopatologia è ancora viva e invade prepotentemente la scena.

6) Tende a giustificare le proprie pulsioni sessuali, vissute come patologiche, in chiave di malattia “congenita”, contro la quale il singolo non può nulla. Classiche sono affermazioni del tipo; “Non ci posso fare nulla se sono così, non è colpa mia!” In cui l’essere gay è anche verbalmente associato, come tale, all’idea di colpa.

7) Tende a dare al sacrificio della sua sessualità un valore grandissimo, come scelta spiritualmente qualificata. Classica è la promessa di non masturbarsi come segno di “cambiamento di vita” o come rinuncia religiosamente fondata. In alcuni casi la promessa di non masturbarsi è considerata come il corrispondente di un particolare favore del cielo in materie di valore molto variabile, da cose serissime fine fino a cose di valore opinabile:
a) “Se mio padre guarisce non mi masturbo più“
b) “Se il mio amico mi vorrà bene io non mi masturberò più”
c) “Se l’Italia vince il mondiale non mi masturbo più”
Si tratta in realtà di tentativi di sacrificare la propria identità gay emergente nella masturbazione, leggendo la cosa in chiave positiva. È ovvio che queste promesse, assolutamente incongrue, non possono essere mantenute e ne consegue uno stato di frustrazione profonda. Talvolta il rifiuto della masturbazione si manifesta nella limitazione della sua frequenza o nel non condurla fino all’orgasmo. Il vero problema di questa supervalutazione degli elementi psicologici legati alla masturbazione consiste nell’allontanamento del ragazzo da una idea seria della morale. La morale sessuale consistente nel rifiuto della masturbazione diventa “La” morale per eccellenza, questo comporta una chiusura su di sé e rispetto al mondo esterno.

8) Manifesta dubbi circa il suo orientamento sessuale e quando lo accetta tende a manifestare dubbi circa la sostanziale perversione della sua sessualità che finisce per “dover” avere qualcosa di patologico.

Per esperienza diretta, devo sottolineare che, i ragazzi che non si accettano, quando superano il rifiuto del confronto e vengono a contatto con persone gay attendibili, non dimostrano alcuna chiusura e alcuna ritrosia a manifestare i propri dubbi e a parlare di sé in modo serissimo. Direi che, superata la barriera del rifiuto, in sostanza, questi ragazzi entrano in un’altra fase che rappresenta per loro allo stesso tempo un’esperienza attraente e sconvolgente. Cominciano a vedere da vicino il loro vero mondo. Non si deve pensare che questi momenti siano di tranquillità e di liberazione, si tratta in realtà di momenti di vero sconvolgimento di quasi tutti i parametri di vita precedenti, che possono provocare reazioni emotive violente e fortemente oscillanti tra un tono entusiastico e un tono nettamente depresso, tra momenti di fiducia totale e momenti (transitori) di radicale diffidenza. Chi non ha mai conosciuto persone gay affidabili ed ha appena superato il rifiuto del dialogo non si trova automaticamente a suo agio, ha bisogno di saggiare il terreno. Tuttavia i momenti comunicativi, che sono in assoluto prevalenti, dimostrano che in genere i ragazzi che vivono in prima persona queste cose non cercano informazioni o risposte razionali ma cercano una risposta affettiva, ossia cercano attenzione e rispetto, hanno in fondo per la prima volta nella vita la possibilità di essere capiti ed accettati per quello che sono realmente ma nello stesso tempo provano un senso di insicurezza totale che sfocia nelle necessità di punti di riferimento e più che altro di persone di riferimento. Queste forme di dialogo hanno una dimensione di sincerità e di immediatezza assolutamente unica. La cose che mi sento chiedere più frequentemente è “Dimmi tutto quello che pensi senza nessuna restrizione, io voglio sapere!” Quando un incontro avviene sulla base di una sincerità reciproca assoluta non può non avere un valore affettivo importante.

Nei momenti di forte reazione emotiva, questi ragazzi hanno bisogno di rassicurazioni su molte cose che si presentano ai loro occhi come incognite ed oscure. Provo ad elencare le più tipiche.

1) Cercano innanzitutto una rassicurazione personale, cioè un apprezzamento di sé come persona, apprezzamento che non può mancare, quanto meno per lo sforzo di sincerità che ha costi emotivi altissimi. A questi ragazzi non interessa una rassicurazione generica, buona per tutti, ma proprio un apprezzamento della loro persona in riferimento al loro vissuto concreto. Spesso, alle formule di apprezzamento generico seguono da parte loro delle puntualizzazioni che tendono a sottolineare i lati deboli della loro personalità o alcuni comportamenti ai qual associano ansiosamente dei sensi di colpa. La rassicurazione viene accettata come seria solo se tiene presenti effettivamente anche tutti gli elementi che il ragazzo intende come negativi, altrimenti è considerata una formalità, cosa che mina il rapporto di fiducia. Quando il contatto che si crea è autentico, è fondamentale che non sia soggetto al rischio di dissolversi per ragioni banali. Inevitabilmente, nei colloqui che durano molte ore, prima o poi, si arriva a dei momenti di dissonanza, tuttavia, se il contatto è serio, quei momenti di dissonanza si risolvono e il rapporto ne esce ulteriormente consolidato. Nulla stabilizza un rapporto di fiducia reciproca come il rendersi conto che non potrà essere distrutto da cose banali. In altre parole la sensazione di solidità di un rapporto di fiducia reciproca contribuisce a creare una dimensione affettiva seria.

2) Cercano rassicurazioni circa il fatto che gli altri ragazzi vivono esperienze analoghe alle loro e che quelle esperienze sono “esperienze gay” e non il risultato di una qualche patologia mentale. Si tratta della necessità di inquadrarsi e di interpretarsi, per la quale essere gay è comunque meglio che essere esemplari unici non interpretabili se non in chiave patologica.

3) Cercano rassicurazioni circa il fatto che la loro vita per il fatto di essere la vita un ragazzo gay non sarà comunque condannata alla solitudine ma potrà realizzare una dimensione affettiva vera e profonda. È fondamentale, per un ragazzo che si sta accettando, rendersi conto che i suoi sogni repressi, non solo non devono essere repressi, ma possono essere anche perseguiti e realizzati.

In molti casi un approccio non corretto al problema dell’accettazione della identità gay può complicare molto la situazione. I gay nel corso dei decenni hanno sviluppato una vera cultura gay che ha elaborato, ad esempio, meccanismi e comportamenti coscienti di difesa e di ricerca di un compagno che sono “tipicamente gay”, come le questioni legate al coming out che nel mondo etero non esistono affatto o quelle legate all’incertezza circa l’orientamento sessuale del ragazzo di cui ci si innamora, o al rapporto tra l’essere gay e la religione. In tutte queste cose, pur nella variabilità individuale, esiste una risposta tendenziale piuttosto uniforme tra le persone gay.

Quando un padre capisce di avere un figlio gay, nella quasi totalità dei casi non è capace di comprendere che cosa questo significhi. L’accettazione “razionale” e non emotiva di un figlio gay da parte del genitore che, magari in piena buona fede, contribuisce a far vivere al figlio l’identità gay come una condizione patologica, può creare molti falsi problemi che, anche se falsi, sono cionondimeno problemi ansiogeni.

Vorrei insistere su un punto: l’accettazione emotiva, affettiva, d’impeto, non razionale, di un ragazzo gay da parte dei genitori, cioè l’accettazione che si manifesta con un abbraccio caldo e sentito, è una spinta estremamente positiva verso la risoluzione dei problemi di accettazione della omosessualità anche livello individuale, mentre le risposte razionali, più fredde e distaccate, contribuiscono a destabilizzare un ragazzo nel suo percorso di accettazione. Al limite, è forse preferibile un atteggiamento esplicito di rifiuto, che spinge un ragazzo verso la sua autonomia, che un atteggiamento razionale che maschera o agli occhi del figlio sembra mascherare un rifiuto sostanziale. Accettazione vera significa accettazione emotiva e affettuosa del figlio.

Quando un genitore, sulla scorta delle migliori intenzioni, volesse fare qualcosa per il figlio gli mancherebbe comunque la possibilità di essere una guida del figlio nella sua vita gay. Perché si può imparare che cos’è la vita di un ragazzo gay solo da altri gay. È per questo che il primo contatto di un ragazzo che non si accettava con l’ambiente gay ha un valore enorme, perché lo avvicina al modo gay di vedere la vita, cosa che non può fare un genitore e nemmeno uno psicologo che non conosce il mondo gay dall’interno.

Se volete, potete partecipare alla discussione su questo post aperta sul Forum di Poprgetto Gay:

http://progettogay.forumfree.net/?t=32893706

CORAGGIO E PAURA GAYultima modifica: 2008-10-06T17:24:00+02:00da gayproject
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