STORIA D’AMORE GAY

Caro Project,
tu non mi conosci ma io posso dire di conoscerti ormai da diversi anni. Ho 30 anni, leggo Progetto Gay praticamente ormai da più di cinque anni. Progetto Gay mi ha fatto compagnia nei momenti più bui della mia vita, non ho mai avuto il coraggio di scriverti nemmeno quando ne avrei avuto veramente bisogno ma leggevo i tuoi post e cercavo di pensare che fossero riferiti a me. Project oggi ti scrivo questo post per dirti che mi hai fatto capire tante cose, mi hai fatto riflettere e penso che tu mi abbia anche difeso da me stesso e dalle brutte idee che mi sono passate per la mente. Mi piacerebbe che tu pubblicassi questa mia mail perché voglio dedicarla a Michele, il ragazzo che mi ha cambiato la vita.

Ho conosciuto Michele poco meno di tre anni fa, quando passando da un lavoro all’altro sono capitato con un contratto a termine in un’azienda di smaltimento rifiuti. Non è il lavoro più bello del mondo ma è un lavoro e io certamente non potevo permettermi di rifiutarlo. Mi sono presentato al capo del personale, ho compilato tutta la documentazione necessaria e poi sono stato accompagnato da un operaio anziano al mio settore che era quello del riciclo dei materiali informatici. In pratica dovevo impiegare il mio tempo smontando apparecchiature elettroniche e informatiche, soprattutto vecchi computer. Mi spiegano più o meno che cosa devo fare e me lo fanno vedere in pratica, poi io comincio a lavorare. Con un’ora di pausa per il pranzo avrei dovuto lavorare fino alle 19. Dato che era il primo giorno di lavoro in quell’azienda cerco di impegnarmi al meglio. 

Il pomeriggio verso le 16 sento una sirena che suona e vedo gente che corre verso una torre di deposito. Una struttura di sostegno ha ceduto e un operaio giovane è stato investito da una valanga di detriti, lo hanno tirato fuori quasi subito ma non respira. Io ho fatto i corsi di primo soccorso e siccome non c’erano medici gli ho fatto il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca, nel frattempo hanno chiamato l’ambulanza. Fortunatamente il cuore ha ricominciato a battere dopo poco più di un minuto, ma il ragazzo era stralunato, balbettava ed era in evidente stato confusionale, dopo altri dieci minuti è arrivata l’ambulanza e il capo turno mi ha detto di andare all’ospedale con quel ragazzo. Io e Michele ci siamo incontrati così. 

Già in ambulanza il medico gli aveva immobilizzato il collo e la schiena e gli aveva fatto prendere un po’ di ossigeno e Michele era già meno confuso. 

Entriamo in pronto soccorso insieme. Lo portano dentro senza attendere il triage. Arriva il neurologo, gli fa fare subito un elettrocardiogramma e lo manda a fare una tac. Devo aspettare fuori. Il neurologo cerca di tranquillizzarmi ma mi sento agitatissimo, dopo una ventina di minuti Michele torna in pronto soccorso, il neurologo dice che stando alla tac non sembra che ci siano cose preoccupanti ma Michele dovrà restare in osservazione fino all’indomani. Lo portano in una stanza del pronto soccorso e io resto con lui. 

È lucido, parla disinvoltamente e mi dice: “Se non ci fossi stato tu, io non ci sarei più!” Io gli racconto quello che mi hanno detto i medici ma lui è già tranquillo. Non vuole che si avvisino i genitori che vivono un una cittadina a circa 200 km, dice che si agiterebbero inutilmente. Mi chiede di mandare un msn ai genitori per tranquillizzarli: “Qui tutto ok, vi mando il messaggio della sera dal cellulare di un amico perché il mio l’ho dimenticato al lavoro. Un abbraccio, Michele”. 

Mi dice che è arrivato in città da pochissimi giorni e che ha trovato una stanza ma per lui è cara perché è una stanza per due. Gli dico che io sono arrivato proprio quella mattina e che sto cercando un posto per dormire e decidiamo i dividere le spese. Resto con lui tutta la notte. La mattina verso le 10.00 torna il neurologo, fa alcune manovre ma Michele sta molto meglio e si vede. Il neurologo conferma che non hanno trovato lesioni o danni, fa rifare l’elettrocardiogramma, il cardiologo dice che non ci sono problemi e che il fatto che lo abbiano soccorso subito è stato determinante. Lo dimettono con tre giorni di prognosi. Andiamo a casa sua con gli autobus. Io telefono al lavoro per dire che ho riportato Michele a casa, mi dicono che il mio turno è stato spostato e farò dalle 14.00 alle 20.00. 

Michele non vive in una stanza in affitto ma in un minuscolo appartamentino di una sola stanza, cucinotto e un piccolissimo bagno, è una casa piccola ma è una casa vera, non solo una stanza. Non mi pare vero di avere trovato una sistemazione come quella. Sono felice per la stanza, ma la giornata è stata così piena di avvenimenti che non mi sono nemmeno fermato a riflettere su Michele. 

In pratica avevo trovato un lavoretto, che speravo prorogabile, avevo trovato un alloggio con un compagno di lavoro ed ero felice per questo, non mi mancava più niente. Avevo di fronte a me sei mesi di relativa tranquillità. Saluto Michele e vado al lavoro, gli lascio il mio cellulare perché può servire più a lui che a me. 

Arrivo agli impianti alle 13.30 e mi mandano dal capo del personale che mi chiede come sta Michele, evidentemente è preoccupato non tanto per Michele ma perché un incidente può creare problemi all’azienda, quando sente che la prognosi è solo di tre giorni si tranquillizza, mi ringrazia per aver fatto il massaggio cardiaco a Michele e mi dà la mano, cosa che non aveva fatto il giorno prima quando mi ero presentato da lui per l’assunzione e poi mi manda in reparto.

Io resto lì a pensare che la sera rivedrò Michele, è un pensiero che mi ritorna in mente spesso. Non so nulla di Michele, ma so che ormai vivremo insieme per sei mesi e il fatto di trovarmi con lui e non con altre persone mi rende felice. Poco prima delle 21.00 sono a casa.

Michele è in piedi, ha riordinato la casa, adesso è tutto pulito. Noto un particolare: prima i due lettini erano accostati, come per formare un letto matrimoniale, anche se solo da una parte c’erano le lenzuola, adesso invece i lettini erano separati e in mezzo c’era il tavolo. Michele aveva lavato il pavimento e il bagno era lucido. Aveva pure preparato un po’ di cena: pasta corta coi fagioli. Quando mi vede mi saluta ma da lontano, non mi abbraccia. Gli chiedo come si è sentito durante la giornata e mi dice: “Bene!” Mi dice che ha fatto una telefonata col cellulare per avvisare la padrona di casa che c’ero anche io.

Ci mettiamo a tavola, la conversazione è molto imbarazzata, io non trovo altri argomenti di conversazione al di là del chiedergli della sua salute. Poi cominciamo a parlare delle precedenti esperienze di lavoro e la conversazione diventa più semplice. Lui ha lavorato in un vivaio, in grosso un supermercato e in un’azienda agricola. Il periodo più lungo (quasi un anno senza interruzioni) è stato in un’agenzia di servizi amministrativi, ma poi il contratto è scaduto e non glielo hanno rinnovato ed è tornato al vivaio con contratti rinnovati di tre mesi in tre mesi ma con delle interruzioni. Adesso con la ditta di smaltimento rifiuti ha un contratto di sei mesi. Gli dico che io in pratica ho lavorato solo nei supermercati, ma sempre per periodi brevi ma che ultimamente non ho trovato più lavoro e stavo andando in crisi perché non lavoravo da quasi tre mesi, poi mi è arrivata la proposta della ditta di smaltimento rifiuti e sono venuto qui lasciando i miei, che abitano proprio in un’altra regione. D’altra parte anche Michele ha dovuto fare lo stesso. 

Michele ha un anno meno di me, lo avevo saputo quando abbiamo compilato i documenti in ospedale, anzi meno di un anno. Dopo la scuola superiore (lui è corrispondente in lingue estere) ha cercato di trovare lavoro per aiutare economicamente la famiglia. Il padre ha 66 anni ed è invalido in carrozzella a seguito di un incidente sul lavoro, la madre ne ha 58 e lavora come può per portare avanti la casa. Il padre dopo l’incidente è stato in depressione per parecchio tempo ma poi fortunatamente ne è uscito. La madre fa quello che può. Michele è figlio unico e anche lui fa quello che può per la famiglia. 

Mi sento quasi fortunato, perché i miei genitori sono ancora in buona salute e sono molto più giovani di quelli di Michele. I miei problemi sono in fondo soltanto problemi di lavoro che non si trova ma i miei riuscirebbero ad andare avanti anche senza il mio aiuto. 

Dico a Michele che anche io sono figlio unico e gli parlo un po’ dei miei genitori. Mi sta ad ascoltare attentamente, mi lascia parlare senza fare domande. Poi torniamo a parlare di lavoro e lui mi spiega quello che sa del lavoro che abbiamo cominciato a fare da pochissimo. Poi si alza, sciacqua i due piatti e li rimette nella credenza e mi dice che farei bene ad andare a letto, perché domani ho il turno alle sette del mattino. Mi metto a letto, lui arriva dopo cinque minuti. Ci diciamo soltanto buonanotte.

Io resto a pensare a tutto quello che è successo e a Michele che dorme (se dorme) dall’altra parte del tavolo. Cerco di ricordare tutti i momenti della nostra conversazione. Abbiamo parlato del lavoro, dei genitori e incidentalmente di tante altre cose ma non abbiamo parlato di ragazze. È normale che un ragazzo di 26 anni (Michele) e uno di 27 (io) si trovino a parlare liberamente e che non si dica nemmeno una parola che riguardi le ragazze? La risposta mi sembrava ovvia.

La mattina seguente dobbiamo alzarci molto presto. I faccio una rapidissima doccia, lui prepara il caffè poi entra in bagno e io preparo la borsa da portare al lavoro. Andiamo di corsa a prendere il tram, comincia a fare freddo, lui ha una sciarpa, io no e sono vestito con abiti leggeri. Si toglie la sciarpa e me la passa, gli dico di tenerla, ma insiste e io mi metto la sua sciarpa intorno al collo. La sciarpa è ancora calda e la sensazione è bellissima! È il calore di Michele! 

Alla pausa pranzo mi propone di chiedere ai capireparto (suo e mio) di metterci i turni alla stesse ore, visto che abitiamo nella stessa casa. Mi chiede se io sono d’accordo. Io gli dico “Certamente!” e gli sorrido e lui mi risponde con un sorriso. Io finisco alle 15.15 e lo aspetto ma lui ritarda fino alle 15.45, quando arriva mi dice che è andato a parlare all’ufficio del personale e poi coi nostri capireparto e hanno deciso che fremo per i primi tre giorni della settimana dalle 7.00 alle 16.00 con un’ora di pausa pranzo e per gli altri tre giorni dalle 13.00 alle 21.00 senza pausa cena. Gli dico che per me ve benissimo. In questo modo possiamo andare e tornare insieme. Mi dice che l’indomani devo andare all’ufficio del personale per confermare che per me va bene. Naturalmente in caso di necessità i turni ce li possono cambiare.

Lavoriamo in settori diversi e purtroppo i nostri turni di mensa sono diversi ma queste cose non possiamo cambiarle. Certo mi piacerebbe molto passare l’ora di mensa con Michele ma non si possono realizzare tutti i desideri.

Nei giorni successivi comincio a conoscere meglio Michele, è molto riservato, per quello che posso vedere non riceve telefonate e chiama al telefono solo i suoi genitori, esattamente come accade a me. Resto molto colpito dall’intelligenza di Michele, dal fatto che è un ragazzo che ha mille interessi e che è capace di parlare di tutto ma senza rimanere nel generico. Quando abbiamo i turni di mattina, nella serata restiamo insieme a vedere la televisione e lui cerca sempre programmi di carattere scientifico o storico e anche in questo andiamo perfettamente d’accordo. Una volta navigando attraverso i canali della televisione è capitato in una trasmissione in cui si parlava anche di omosessuali, io ho provato un momento di imbarazzo, lui ha disinvoltamente cambiato canale, come se non avesse fatto caso all’argomento della conversazione ma io ho percepito un attimo di esitazione e questo ha rimesso in moto il mio cervello.

Michele è un bel ragazzo, forse anche meglio di me, o meglio senza forse. È alto, ha i capelli lisci color mogano, occhi chiari molto belli quando sorride. Il sorriso di Michele è bellissimo. 

Col passare dei giorni le cose, sostanzialmente non sono cambiate, non abbiamo mai parlato di ragazze né di sesso ma solo di lavoro e i possibili riferimenti ai gay sono stati messi totalmente da parte. Con lui stavo bene, mi sentivo a mio agio e anche se avevo qualche dubbio, avevo comunque messo da parte l’idea che tra noi potesse nascere una storia d’amore. 

Sono passati alcuni mesi, io ero tutto sommato felice, speravo che il mio contratto sarebbe stato rinnovato ma non è successo e, scaduti i sei mesi, sono stato licenziato mentre Michele è rimasto in azienda. Per me è stato un momento terribile. Non avevo più denaro nemmeno per pagare la mia quota dell’affitto, avrei dovuto cercare subito lavoro da qualche altra parte ma avevo perso tempo sperando che il mio contratto fosse rinnovato e comunque sarei andato incontro a un periodo di disoccupazione e forse anche ad un lungo periodo di disoccupazione. Ero depresso, molto amareggiato, sapevo che sarei dovuto rientrare a casa dei miei genitori per aspettare un nuovo lavoro e poi avrei perso Michele e la cosa mi metteva veramente in crisi.

Michele qui è stato veramente la mia ancora di salvezza. Mi ha detto: “No! Tu non te ne vai da nessuna parte! Tu resti qui e vedrai he un lavoro lo troviamo!” Gli ho detto che non avrei potuto comunque pagare l’affitto né niente altro e mi ha risposto: “Non ti posso fare andare via, sarebbe un disastro sia per te che per me. Ormai abbiamo capito che siamo amici e che ci dobbiamo dare una mano. Tu resti qua!” Non posso negare che questo era proprio il discorso che io volevo sentire. Gli ho detto: “Ok! Sei proprio un amico vero!” E lui mi ha sorriso. Quando lui era di turno io andavo al supermercato a cercare tutti i prodotti in offerta per risparmiare soldi, tornavo a casa e cucinavo ma soprattutto andavo freneticamente in cerca di lavoro, scrivevo curriculum e li mandavo alle aziende ma le poche risposte che ricevevo erano tutte più o meno uguali: “Al momento il personale è al completo, ma se si verificheranno delle disponibilità le faremo sapere.” Sempre la solita musica. Una mattina trovo nel telefonino una mail di un’azienda che non avevo mai sentito nominare, la apro ed era una convocazione per un colloquio di lavoro per il lunedì successivo e la ditta era anche in città, dall’altra parte della città ma in città. La mail faceva riferimento ad una mia mail di 15 giorni prima, ma io non avevo mandato nessuna mail a quell’azienda.

Quando Michele torna a casa gli racconto della mail che ho ricevuto e gli dico che però io non ho mandato nessuna mail a quell’azienda e lui mi dice: “Certo che l’hai mandata!” e nel dire così sorride. Allora capisco che l’ha mandata lui! In pratica passava quasi l’intera pausa pranzo ad inviare curriculum a mio nome a tutte le aziende della zona. Mi dice che quell’azienda cercava un esperto di informatica a livello medio e che lui pensava che fosse la cosa adatta per me, perché sono perito informatico. Andiamo sul sito dell’azienda, comincio a capire più o meno di che cosa si tratta. In pratica il colloquio riguarda l’uso di editor visuali, dell’html, del php e dei css. 

A casa riuscivamo a utilizzare internet senza abbonamento perché al piano di sotto c’è uno studio tecnico di un geometra che ha internet sempre attaccato e lo utilizziamo anche noi, il geometra lo sa ma non dice nulla. Mi metto al pc e comincio a studiarmi a fondo gli argomenti del colloquio. Più cerco di approfondire più mi rendo conto che è un pozzo senza fondo, mi sento sconfortato e penso che non riuscirò mai a superare quel colloquio. Quando Michele è a casa fa tutto lui e cerca di mettermi nelle condizioni migliori per studiare. Io mi impegno al massimo delle mie possibilità. Il giorno del colloquio devo andarci da solo perché Michele è di turno in azienda.

Mi presento, vestito in modo non troppo impegnativo, ma perfettamente rasato e coi capelli corti. Siamo in sei, mi sento quasi a disagio nel vedere gli altri con pc portatile e super-telefonini. I colloqui durano parecchio, io sono l’ultimo, entro poco prima delle 14.00. Mi danno tre fogli mi fanno leggere il quesito e mi fanno spiegare che cosa fare per risolvere il problema. Sui primi due quesiti, che erano quasi banali, rispondo subito e l’ingegnere sembra soddisfatto. Il terzo quesito è decisamente più difficile. Ho un’idea su come si potrebbe risolvere ma scrivere su due piedi le linee di programma necessarie non è facile, dovrei avere ben chiara in mente la sintassi di comandi che si usano piuttosto raramente. Lo dico all’ingegnere, lui mi dice che la via è percorribile e che mi darà un’ora di tempo, con la possibilità di consultare i manuali, per vedere che cosa sono capace di fare. Gli dico che va bene, mi fa mettere al pc e mi apre Notepad, che per fortuna conosco bene. Mi dice che quando ho terminato posso bussare alla porta della stanza a fianco. Io mi metto al lavoro e cerco di non farmi prendere dal panico. In mezz’ora scrivo le linee di programma necessarie, le riguardo molte volte, poi le stampo e vado a bussare alla porta dell’ingegnere, gli do il foglio. Lui guarda il programma e mi dice che me la so cavare e che mi faranno un contratto a sei mesi, io mi sento felice. L’ingegnere mi dice che nella sua azienda (era proprio l’amministratore delegato) se avrò voglia di lavorare potrò avere delle possibilità di crescere. Per le prime due settimane avrei dovuto frequentare un corso intensivo in azienda. Avrei cominciato il lunedì successivo. Poi mi dà la mano e mi dice: “Lei è una persona in gamba, ho piacere che sia dei nostri!” Poi mi manda in amministrazione per sistemare le carte.

Quando esco sono ormai le 17.00 e Michele è lì fuori ad aspettarmi! Questa volta lo abbraccio e gli dico: “Mi hanno preso con contratto a sei mesi!” Poi gli racconto punto per punto come sono andate le cose. Inaspettatamente mi scompiglia i capelli e mi abbraccia forte. Torniamo a casa, mi sento un’altra persona.

È stato allora che ci siamo detti che ci volevamo bene. Non abbiamo nemmeno pronunciato la parola “gay” perché non ce ne era proprio bisogno. Avere vicino un ragazzo che ti vuole bene e che condivide veramente la vita con te è meraviglioso. Alla fine, dirsi “ti voglio bene!” è molto di più che dirsi “sono gay”. 

Da allora e fino al mio primo giorno di lavoro sono andato ogni giorno ad accompagnare Michele al lavoro e ad aspettarlo fuori dell’azienda alla fine del turno e vederlo venire verso di me sorridendo era proprio come vedere il paradiso.

Il primo giorno di lavoro io sono andato vestito come il giorno del colloquio. Non sapevo in che cosa consistesse il corso che avrei dovuto frequentare. Mi hanno presentato quattro ragazzi, tutti ingegneri, e mi hanno detto che avrei lavorato per due settimane con loro, poi ci hanno mandato dall’ingegnere che mi aveva fatto il colloquio che ci ha dato dei libri e ci ha mandato in 5 stanze diverse, chiedendoci di leggere la prima dispensa del corso e di mettere per scritto eventuali proposte per lo viluppo del progetto considerando gli obbiettivi finali. 

Avremmo dovuto lavorarci per otto ore. Ho cercato di fare del mio meglio senza perdere un secondo e ho scritto una decina di pagine su come pensavo che si potesse sviluppare il progetto, poi le ho riviste cercando di rendere il tutto facilmente comprensibile attraverso degli esempi, ho inviato il mio elaborato pochi minuti prima che scadessero le otto ore e ne ho stampato anche una copia per me. Quando sono uscito dalla mia stanzetta ho visto gli altri erano già andati via tutti, erano le 17.00. Sono uscito e Michele era lì. Gli ho raccontato quello che era successo, poi nel tornare a casa mi è venuto in mente che per migliorare il progetto su cui avevo lavorato si poteva provare un’altra strada. Ci ho lavorato tutta la notte e ho mandato via e-mail il mio nuovo elaborato verso le due della notte. 

L’indomani alle 8.00 ero di nuovo in azienda con gli altri ragazzi che parlavano in continuazione tra loro delle soluzioni che avevano proposto, soluzioni che a me sembravano eccessive, come usare una pressa da 10 tonnellate per schiacciare una noce. Nuovo foglio con nuovo problema da risolvere. Mi metto al lavoro, ma poco prima di mezzogiorno viene l’amministratore delegato e mi dice: “Venga con me.” Gli dico che non ho terminato l’elaborazione del quesito, mi dice: “Lasci perdere e venga con me” Mi porta nel suo ufficio e mi dice che ha letto il mio elaborato di ieri che non è male ma che poi ha letto la mail che gli ho mandato nella notte e che la soluzione che avevo proposto gli è sembrata estremamente intelligente e aveva anche apprezzato il fatto che io avessi continuato a lavorare al progetto anche a casa. Mi ha detto che mi avrebbe fatto lavorare con lui. In pratica dal giorno successivo ho avuto una mia stanza comunicante con quella dell’amministratore delegato. Dopo i sei mesi sono stato assunto a tempo indeterminato a livello quadro intermedio, una cosa che non avrei mai immaginato. Lavoravo dalla mattina alla sera per l’azienda e spesso anche la notte.

Poi sono intervenuti dei fatti nuovi. Michele è stato licenziato dalla ditta di trattamento dei rifiuti, anche lui aveva sperato tanto che gli rinnovassero il contratto e questa volta avevamo mandato decine e decine di curriculum da tutte le parti ma purtroppo non avevamo trovato nulla ed è stato qui che senza dirgli nulla ho deciso di giocarmi il tutto per tutto. Sono andato dall’amministratore delegato e gli ho detto che avevo bisogno di un piacere enorme, mi ha chiesto di che cosa si trattasse e gli ho detto che si trattava di assumere una persona serissima che avrebbe potuto dare moltissimo all’azienda. È rimasto molto perplesso, la richiesta gli ha dato fastidio e me lo fatto notare. Ho insistito dicendo che avrebbe potuto inserire quella persona con compiti amministrativi perché conosceva benissimo l’Inglese e il Francese e sulla sua onestà e affidabilità ci avrei scommesso la testa. Lui ha cominciato un discoro per farmi capire che era impossibile e io gli ho risposto seccamente: “Se lei non assume questa persona io mi licenzio oggi stesso. Non è un ricatto, io penso che sia veramente una cosa ottima sia per me che per lei! E non se ne pentirebbe certamente!” Mi guarda ancora più perplesso e mi chiede: “Si tratta della sua ragazza?” nel dirlo già sembrava più disponibile ma gli ho ribattuto subito: “No! Si tratta del mio ragazzo!” Ha fatto una smorfia e ha detto: “Mi sta prendendo in giro?” Gli ho detto: “Non mi permetterei mai una cosa simile!” Dopo un po’ di tira e molla mi ha detto: “Ok … però devono rimanere fatti vostri…”. Mi ha detto di mandargli il curriculum l’indomani e che lo avrebbe chiamato per un colloquio per vedere dove mandarlo ma che lo avrebbe assunto solo per tre mesi. Io gli ho risposto che avremmo dato il massimo per l’azienda e che lo avrebbe visto.

Michele è andato al colloquio, che non è stato per niente una formalità, poi è stato assunto. Io pensavo che lo avrebbero mandato in amministrazione e invece ho visto che si è sistemato in una stanza di fronte alla mia. Non me lo aspettavo e sono andato a ringraziare l’amministratore. Lui mi ha detto: “Io ho fatto la mia parte, adesso sta a voi di fare la vostra!” e mi ha fatto segno di andare. 

Dopo i tre mesi anche Michele è stato assunto a tempo indeterminato, ormai ci conoscevamo da molti mesi ed eravamo riusciti a costruirci una posizione economica più che dignitosa. Lavoravamo molto, anche ben oltre i nostri obblighi contrattuali e l’amministratore cominciava a fidarsi di noi e certe volte ci mandava a rappresentarlo anche all’estero in posti molto importanti e ci mandava sempre insieme. Ormai, professionalmente eravamo soddisfatti.

Tra noi tutto procedeva come prima: un profondo volersi bene ma niente sesso e io di questo non sapevo trovare una ragione, mi sentivo molto frenato, vedevo che lui, pure trattandomi molto affettuosamente non si sbilanciava mai verso comportamenti con implicazioni apertamente sessuali. Alla fine ne abbiamo parlato e mi ha raccontato di avere subito abusi quando era bambino e fino quasi ai 12 anni da parte di uno zio. Di questi fatti non aveva mai parlato con nessuno. Poi lo zio si era ammalato e lui aveva desiderato che morisse, lo zio dopo qualche mese era morto e lui era rimasto scioccato pensando di avergli augurato la morte e non era più riuscito a pensare al sesso, che lui ormai non riusciva a separare dall’idea dell’abuso e soprattutto dai ai sensi di colpa per aver augurato la morte allo zio.

Dopo aver capito che cosa realmente passava per la mente di Michele ho evitato di insistere. Io volevo bene a Michele con o senza sesso e nulla sarebbe comunque cambiato. Si appoggiava a me ogni tanto quando vedevamo la tv, mi abbracciava e mi passava una mano tra i capelli ma il sesso per lui era una realtà rimossa. 

Dopo un altro anno, quando erano passati ormai due anni e mezzo da quando ci eravamo conosciuti le cose sono cambiate. Eravamo in albergo a Londra a rappresentare la nostra ditta. Dopo una giornata faticosissima passata a seguire trattative economiche, ci mettiamo a scrivere una relazione da mandare all’amministratore, lavoriamo fino alle tre di notte. La partenza era prevista per l‘indomani e l’aereo era già prenotato. Lui mi guarda negli occhi e mi dice: “Abbracciami!” Io lo stringo forte e lui ricambia il mio abbraccio e io sento tutta la forza di questo ragazzo e tutta la sua dolcezza. Per entrambi era la prima volta ed è stata una cosa bellissima. Alla fine ci siamo addormentati uno nelle braccia dell’altro. Da quella notte sono passati sei mesi. Viviamo sempre nella stessa casetta ma sogniamo di averne una tutta nostra con un piccolo giardino davanti. Ma in effetti anche senza una casa nostra non ci manca più nulla. Io devo a Michele la mia felicità!

Questa è ma nostra storia, Project! L’amore gay è una cosa bellissima!

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Se volete, potete partecipare all discussione di questo p0st aperta sul Forum di Progetto Gay: http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=19&t=2926

STORIA D’AMORE GAYultima modifica: 2012-11-05T16:07:00+01:00da gayproject
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