TORQUATO TASSO OMOSESSUALE

La Storia della Letteratura Italiana ha presentato per secoli Torquato Tasso come l’incarnazione degli scrupoli e delle ossessioni della Controriforma, Leopardi, che conosceva molto bene opera e l’anima di Tasso, trovava in lui un’affinità poetica e direi morale profonda. Se si cercano delle affinità sostanziali tra Tasso e Leopardi e non ci si ferma alla superficie, si arriva alla conclusione che uno dei punti di contatto più forti, se non il più forte è rappresentato dalla omosessualità. La Gerusalemme liberata è il poema degli amori impossibili; il duello finale di Tancredi e Clorinda ricorda il “ciascuno uccide colui che ama” del Querelle de Brest di Fassbinder sul romanzo di Jean Genet.

La storia ufficiale di Tasso è già di per sé complicatissima, pochi personaggi hanno una vita così frenetica e piena di ansie e di stravolgimenti. Tasso era un uomo di corte, certo, il tipico vaso di coccio tra i vasi di ferro, un uomo che ha patito la violenza della vita di corte in tutte le sue forme, fino al ricovero forzato in manicomio a sant’Anna. Malattia di mente? Segregazione per ragioni politiche? Non lo sapremo mai.

Ma accanto alla storia ufficiale di Tasso c’è una storia segreta che è bene conoscere e in questa storia segreta l’omosessualità ha un ruolo fondamentale, ma attenzione a non assimilare l’omosessualità di Tasso al concetto moderno di omosessualità. Per capire che cosa sia l’omosessualità di Tasso bisogna calarsi nella sua epoca, in un ambiente controriformistico in cui già la sessualità etero era un tabù e l’omosessualità era violentemente repressa. A quel tempo il termine omofobia interiorizzata avrebbe avuto una pregnanza che oggi è ampiamente sfumata. Non si parlava di omosessualità se non in tono minore relativamente alle letterature classiche. Scoprirsi gay poteva essere veramente traumatico e l’idea del coming out pubblico era di fatto equivalente al suicidio.

Intendo fermarmi qui su un breve periodo della vita di Tasso che va dal Maggio 1576 ai primi di Gennaio 1577. Ricordo che Tasso nel 1576, ai soliti sentimenti di frustrazione per la vita stentata cui era costretto nonostante fosse già poeta di fama, aveva aggiunto un altro motivo di preoccupazione e cioè l’idea di essere spiato. Provocato dal cortigiano Ercole Fucci gli aveva dato uno schiaffo e il Fucci gli aveva rifilato alcune bastonate. Un servo aveva rivelato a Tasso che in sua assenza Ascanio Giraldini, un uomo della corte, aveva cercato forzare la porta della sua stanza per tentare di appropriarsi di alcuni manoscritti di Tasso.

Così Tasso scriveva a Scipione Gonzaga:

“Ora dica M. Luca ch’io son troppo sospettoso. Non posso tacer una delle prodezze di Brunello. Egli sempre, ch’io andava fuori mi dimandava la chiave delle mie stanze, mostrando di volersene servir in fatti d’amore, e io gliela concedeva, serrando però la camera dov’io tenea i libri e le scritture. Nella quale era una cassetta, in cui oltre le mie composizioni, io riserbava gran parte delle lettere di V.s. e di M. Luca, e quelle particolarmente, che contenevano alcuno avvertimento poetico [omissis] Con questo sospetto cominciai ad andar pescando, e intesi finalmente da un servitor del Conte Luigi Montesucoli mio vicino, che quando io era in questa Quaresima in Modana , vide entrare col Brunello, essendo già notte, un magnano [fabbro] nelle mie stanze. Tanto andai poi cercando. che trovai il magnano, il qual mi confessò d’essere stato in corte ad aprir una camera, della quale diceva il conduttor d’aver perduta la chiave. V.s. argomenti il resto, quella è una delle sue frodi, ma ce ne son molte altre, non men belle: e credo che ve ne siano alcune di molta maggiore importanza; ma io non me ne posso accertare. Mi consola che io stracciava tutte le lettere di V.s. e di M. Luca nelle quali era detta liberamente alcuna cosa, trattone quelle de i particolari dello Sperone. Altro non mi occorre per ora, se non che a V.s. Illustr. bacio con ogni affetto le mani. Di Ferrara.”

M. Luca di cui parla Tasso e Monsignor (un appellativo al tempo usato anche per i laici) Luca Scalabrino, un personaggio di alto livello culturale di cui non sono riuscito a trovare l’esatta data di nascita ma che doveva essere più o meno coetaneo di Tasso. Scalabrino si era innamorato di Tasso e aveva commesso la leggerezza (chiamiamola così) di farne cenno al 21enne Orazio Ariosto (discendente dell’autore dell’Orlando furioso) il quale, a sua volta, aveva riportato la notizia allo stesso Tasso che a tutta prima aveva reagito male.

Il 9 Maggio 1576 così Tasso scrive allo Scalabrino:

A Luca Scalabrino. – Roma. 1576

“Avete il torto in mille modi; e sia detto con vostra pace. Scrivendo a me, peccate in materia ed in forma; ma io non ne incolpo se non me stesso. Tanto mi basta di rispondere ad una parte de la vostra lettera, a la quale risponderò più a lungo come avrò letto non una volta l’Alfabeto greco, ma dieci o venti volte i Salmi: frattanto siate sicuro che io v’ ho sempre amato, e vi amo svisceratamente; non sono ancora tanto pazzo che, amandovi com’io fo , debba con tanto ardore procurare la vostra vergogna. De’ miei secreti sono signore, e posso senza offesa altrui, rivelarne quella parte che mi piace a chi voglio. De gli altrui, tanto ne dico quanto piace a chi li commette a la mia fede; e se io altre volte ho discoperto, contro vostra voglia, a vostro padre il vostro male, l’ho fatto per soverchio zelo de la vostra salute, de la quale son risoluto di non volere aver maggior cura di quella che voi vogliate che s’abbia: ma ben vuo’ pregarvi, per l’amore che vi porto, che se io rimango sodisfatto di voi, a cui nulla ascosi mai de i miei pensieri, che non usiate meco estraordinaria secretezza di alcuni vostri o affetti o disegni che a molti son palesi, né dobbiate poi sdegnarvi contra me se alcuna particella a caso, non la cercando io, me n’è riferita; o almeno sfogate meco tutto questo sdegno senza dimostrarlo altrui; che ciò non potete fare, che non diate insieme a divedere che poco m’amiate e nulla mi prezziate. Ho detto più di quello ch’io voleva: perdonatemi; che la mano, spronata da un giusto dolore, è trascorsa mal grado de la volontà. Ora passiamo ad altra materia.
Di Ferrara, il IX di Maggio
Amorevol Fratello e S. (servitore)
Il Tasso”

Scalabrino rimase impaurito dal linguaggio di Tasso e inviò all’Ariosto una lettera in cui lo accusava di avere fatto pettegolezzi con tutti e in particolare con il Tasso noto per non saper tenere la lingua a posto. Scalabrino si vedeva già in situazioni molto difficili ma poco tempo dopo le paure furono messe da parte e il dialogo tra Tasso e lo Scalabrino divenne esplicito.

A Luca Scalabrino, – Roma. 1576

“Vostra Signoria per l’ultima sua mi dimanda perdono di non m’aver palesato il suo amor concupiscibile; e per l’altre sue, che prima m’ha scritto, ha sempre mostrato di credere ch’io sia sdegnato con esso lei, pereh’ella non m’abbia rivelato questo suo desiderio carnale, e rende assai onesta cagione de la sua segretezza e del silenzio usato meco. Io, che ho deliberato di confermar quella deliberazione ch’io feci molt’anni sono; cioè d’aver Vostra Signoria non solo per caro e cordiale amico, ma per lo più caro e per lo più intrinseco di tutti gli altri, ed in somma per parte de l’anima mia; non voglio più lungamente lasciarla in questo errore e in questo inganno: e se pur non s’inganna, ma vuol mostrar d’ingannarsi, non le voglio lasciar questo pretesto, né posso soffrire c’almeno ne le cose mie, e in quel c’appartiene a me, ella non corrisponda a la mia ingenuità, o sciocca o filosofica che sia. Sappia dunque, ch’io non mi sdegnai perché Vostra Signoria non mi scoprisse il suo amore (c’a a questo per nessuna ragione voi eravate obbligato); ma mi sdegnai perché voi vi recaste a cosi grande ingiuria che l’Ariosto me n’accennasse un non so che. Non solo vi sdegnaste, ma a lui scriveste in modo che ben si poteva comprendere che vi riputavate offeso da lui gravemente. A me poi scriveste una lettera piena di tanto disprezzo, che nulla più. Confesso c’avevate occasione di dolervi fra voi stesso, che l’Ariosto avesse palesato questo secreto a me, il quale so mal tacere i miei propri secreti; ma certo nissuna ragione voleva che, per cosa di si poca importanza, cosi apertamente fosser da voi dette parole cosi acerbe e a lui e a me medesmo contra la mia riputazione. L’amico deve ricoprire i difetti de l’amico; ed io, che sono il più loquace uomo del mondo, non ho mai detto cosa alcuna c’a voi possa spiacere, né in questa né in altra occasione; se non solo che palesai a vostro padre ed a m. Antenore la vostra infermità per soverchia gelosia de la vostra salute. E Dio mi sia testimonio, che di nissun altro vostro particolare ho io ragionato, se non in quel modo ch’io ho saputo, non che creduto c’a voi fosse caro. Ma sia qui il fine de le mie querele. Io mi ricorderò solamente le tante cortesie ed amorevolezze ch’io ho ricevuto da voi; e di questa baia non terrò memoria, ma perdonerò l’impeto di quelle lettere a la vostra natura; si come prego voi a perdonare a la mia l’acerbità d’alcune lettere, ne le quali, esortandovi al purgarvi, usava luoghi troppo aspri e veementi. Siam patti e pagati, come si dice: da ora inanzi io, non iscemando punto né de l’amore né de la confidenza che ho in voi, mi guarderò di provocar la vostra collera. Io vi dimando perdono de le lettere passate: a voi non occorre dimandarlo a me com’a superiore, perochè io in nessuna cosa vi sono superiore, e in molte vi cedo. E se pur volete usare questa creanza, usatela senza offendermi, mentre volete sodisfarmi: che non la superiorità de la persona, ma la superiorità de la causa mi fa meritevole che da voi mi sia chiesto perdono; ed io vel concedo, e voi concedetelo a me, e brindisi!. . .e più non si parli di queste co.. . In somma, io son tutto vostro.”

Sono probabilmente queste le lettere che i cortigiani andavano cercando nelle stanze di Tasso!

A metà di dicembre del 1576 la confidenza tra Tasso e lo Scalabrino è tale che Tasso confessa allo Scalabrino di essersi innamorato, non ricambiato, del 21enne Orazio Ariosto, che Tasso chiama semplicemente il Signore, omettendo il nome.

A Luca Scalabrino – Roma
Datata 14 dicembre 1576

“Ho veduta la lettera del Signore, bella certo, ma che? De l’ingegno suo io non dubitai mai, ed ora ne son certissimo e spero di lui ogni gran riuscita. Ma voi ammirate in lui l’attitudine a l’eloquenza, ed io la disposizione a l’esser cortigiano, perché ha più appreso di quest’arte in pochi mesi ne le scole, ch’io non ho fatto in molti anni ne la corte.

In somma io non m’inganno, e parlo per iscienza, non per sospetto, per congettura; voi credete quel che vi pare; ma se qui foste o vi trovaste presente ad uno o due de’ nostri ragionamenti, vi chiarireste in parte; perciocché egli tratta meco in modo, che non si cura di lasciarmi soddisfatto; gli basta solo ch’io non possa far constar ad altri ch’egli m’offenda. Io l’amo, e son per amarlo anco qualche mese, perché troppo gagliarda impressione fu quella, che l’amor fece ne l’animo mio, né si può in pochi dì rimovere, per offesa quanto si voglia grave; pure spero che il tempo medicherà l’animo mio di questa infermità amorosa, e ‘l renderà intieramente sano. Che certo io vorrei non amarlo, perché
quanto è amabile l’ingegno suo, e la maniera in universale, tanto dee a me parer odioso un suo particolar procedere verso me, cominciato da poco in qua, e nato non so da qual affetto, se non forse da emulazione, da desiderio di soddisfare altrui, il che più credo. Chiamo questo mio amore, e non benevolenza perché, in somma, è amore: ne prima me n’era accorto e non me n’accorgeva, perché non sentiva destare in me nessuno di quegli appetiti che suol portare l’amore, anche nel letto, ove siamo stati insieme. Ma ora chiaramente mi avveggio ch’io sono stato e sono non amico, ma onestissimo amante, perché sento dolore grandissimo, non solo ch’egli poco mi corrisponde ne l’amore, ma anche di non poter parlar con esso lui con quella libertà, ch’io soleva, e la sua assenza m’affligge gravissimamente. La notte non mi sveglio mai che la sua immagine non sia la prima ad appresentarmisi, e rivolgendo per l’animo mio quanto io l’abbia amato ed onorato, e quanto egli abbia schernito ed offeso me, e, quel che più mi preme (parendomi troppo indurato ne la risoluzione di non amarmi), me n’afliggo tanto, che due o tre volte ho pianto amarissimamente, e s’io in ciò mento, Iddio non si ricordi di me. Spererei che se egli fosse certo de l’animo mio, sarebbe costretto ad amarmi, ma come ne può essere egli certo essendo consapevole del suo, e giudicando ex aliorum ingenio. E se voi, al qual nessuno affetto de l’animo mio fu mai celato, e che ‘n tanti anni dovreste aver conosciuto quanto io sappia fingere, ne dubitate, ben è ragione ch’egli, che n’ha minor conoscenza, ne dubiti. Tanto basti intorno a lui.”

Tasso e lo Scalabrino si scambiano lettere su Orazio Ariosto anche se il linguaggio non è sempre comprensibile perché non si possiedono le lettere dello Scalabrino.

A Luca Scalahrino. — Roma. 

“Tenetevi pur voi la vostra credenza (se pur credete quel che scrivete) eh’a me giova d’attenermi a la mia certezza; anzi, non mi giova, ma mi noce, che vorrei, se fosse possibile, non saper tanto a dentro quanto io so di questo particolare.

Voi per giudizioso, non sarete giammai per questa ragione laudato. Quella magnanima cortesia, e quella pena del mio soverchio sospettare, voci in vero e concetti sonori ed arguti, ove nascono, ed onde vengono? Per risposta altro non dico, se non che per l’avvenire, mi guarderò molto di darmi così in preda ad alcuno amico, che mi sia poi non solo difficile, ma noioso, il ritormigli. Ora approvo quel detto che altre volte riputai inumano, eh’in guisa si debba amare, che sia facile il disamare. Il consiglio che mi date, accetto da voi come amorevole, se ben m’è stato prima dato da coloro che non molto m’amavano ; ove i padroni, che ben mi vogliono, cercavano di generar in me quella confidenza, de la quale l’animo mio, nel principio di questa briga, era in tutto pieno. Non so però s’io l’userò o no, ma perché ne gli uomini non è fede, ed io son povero di fortuna, e di valore, custodisca Iddio la mia innocenza, e qui sia fine a questi discorsi. State sano.
Di Modena il 6 di Gennaio [1577]”.

Questa ultima lettera è del gennaio 1577. Tasso, deluso dall’Ariosto, inizia una turbolenta relazione con un giovane cortigiano: Orazio Orlando. Tasso teme che la cosa possa divenire di pubblico dominio e cerca di apparire eterosessuale per quanto gli è possibile. Il 17 giugno, sentendosi spiato da un servo gli scaglia contro un coltello.

Naturalmente molti altri elementi di natura personale come lo stress per la composizione della Gerusalemme, le frustrazioni per le incomprensione cui andava incontro e la paura ossessiva di essere spiato, oltre a possibili ragioni di carattere religioso, politico e diplomatico, hanno influito in modo molto complesso sulla biografia del Tasso ma, certo, tra gli elementi che ne hanno determinato la vita c’è anche l’omosessualità.

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TORQUATO TASSO OMOSESSUALEultima modifica: 2014-06-29T23:01:09+02:00da gayproject
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