C’è da chiedersi allora quali fattori condizionino la vita affettiva e sessuale dei ragazzi gay. Schematicamente potrebbero essere riassunti così:
A – Condizionamenti a priori in materia sessuale o affettiva che impediscono o rendono difficoltoso il rapporto con la sessualità in genere e con la omosessualità in particolare. Si tratta di condizionamenti di origine sociale, familiare o religiosa indotti per via educativa, aventi ad oggetto divieti espliciti o impliciti di vario tipo (condanna del sesso, della masturbazione, dei rapporti sessuali, della omosessualità ) o rappresentazioni devianti della omosessualità in forma di patologia oppure enfatizzazioni e mitizzazioni di modelli di comportamento eterosessuale. Tutti i ragazzi gay, chi più chi meno, hanno avuto a che fare con queste cose. Quando questi condizionamenti sono vissuti in modo cosciente come condizionamenti esterni, essi in genere non provocano traumi troppo profondi e la risposta più comune consiste nella finzione cioè nell’adeguamento formale alle richieste sociali e familiari, almeno finché è possibile. La finzione ha un contenuto minimo consistente nel dissimulare il proprio essere gay e può avere un contenuto massimo consistente nel simulare comportamenti etero in modo più o meno completo. Questo adeguamento è già vissuto dai ragazzi come una limitazione della libertà ma in genere essi imparano presto a vivere su due livelli, uno pubblico di apparenza etero e uno privato di realtà gay. Il vero problema dei condizionamenti a priori si presenta quando essi operano al di sotto della soglia di coscienza, cioè quando i ragazzi non si rendono conto di subire condizionamenti esterni ma agiscono in modo conforme a quei condizionamenti con la coscienza di aver fatto una scelta libera, non percepiscono cioè la dimensione reale del condizionamento. È il caso tipico che ragazzi che si impegnano ad evitare la masturbazione per motivazioni dichiaratamente religiose nella piena convinzione di fare una scelta di fede, oppure è il caso ancora più radicale dei ragazzi che mettono automaticamente tra parentesi tutti gli elementi che potrebbero indurli a prendere coscienza della propria omosessualità e si orientano in modo apparentemente libero verso l’idea di avere una ragazza e di incamminarsi con lei verso il matrimonio, oppure è il caso di quei ragazzi che, pur avvertendo in sé delle pulsioni omosessuali, fanno di tutto per combatterle come se la repressione della omosessualità fosse una loro libera scelta. Si tratta di situazioni che spesso matureranno con una presa di coscienza dopo molti anni provocando gravi momenti di confusione e di sconforto. In questi casi, non ha ovviamente alcun senso andare in cerca di responsabilità, che sono, in buona misura almeno, di natura diffusamente sociale. Normalmente i condizionamenti a priori si basano sulla presunzione di conoscere e di capire cose che in realtà né si capiscono né si conoscono. Questi condizionamenti svaniscono o si ridimensionano radicalmente quando un ragazzo fa esperienza reale di che cosa siano l’affettività e la sessualità gay.
Un ragazzo gay che per anni ha cercato di reprimere la sua sessualità motivando la sua scelta con la volontà di conformarsi a dei principi religiosi, giunge prima o poi (purtroppo non sempre) alla coscienza di essere condizionato, percepisce in modo esplicito il dissidio tra le proprie pulsioni e il precetto religioso e avverte come non libera la scelta di reprimere la propria sessualità, per questa ragione, nel suo riguadagnare la libertà di masturbarsi si mescolano due componenti, la prima legata all’idea di infrangere un tabù e di liberarsene e la seconda connessa all’idea del piacere sessuale. Il gesto cioè viene caricato di valenze di riaffermazione della propria libertà ben al di là di quanto avviene per i ragazzi etero. La piena soddisfazione nella masturbazione sarà avvertita come conferma del gesto liberatorio e l’eventuale insoddisfazione sarà avvertita in modo frustrante non solo in termini di incompleto piacere sessuale ma quasi come sanzione negativa all’atto di esercizio della propria libertà sessuale che apparirà immotivato o meno motivato se non addirittura solo e soltanto profondamente destabilizzante della personalità e senza alcuna utilità reale. In una situazione del genere la sessualità è vissuta in modo ansioso come una prova che testimoni la giustezza delle scelte fatte ed è proprio questa idea di mettersi alla prova, questa idea di sperimentare le proprie reazioni di fonte alla sessualità concreta che costituisce la premessa di tante esperienze deludenti. Nella misura in cui la sessualità risponde ad esigenze che non le sono proprie essa si espone al rischio concreto di non essere soddisfacente, perché la sessualità non si realizza attraverso scelte razionali e non comporta in ogni caso risposte automatiche ma in essa la dimensione soggettiva è ineliminabile e fondamentale. In genere il fallimento dei primi tentativi o meglio l’insoddisfazione che ne deriva carica ulteriormente di ansia i tentativi successivi e rischia così di istaurarsi un vero e proprio complesso di incapacità ossia un circolo vizioso: tentativo – frustrazione – tentativo.
Se queste cose accadono a livello della masturbazione, accadono sicuramente a maggior ragione quando si tratta di costruire un vero rapporto di coppia nel quale le insicurezze soggettive si sommano ai rischi della intersoggettività. Secondo il comune modo di pensare, i gay sono sessualmente nettamente disinibiti. Questa idea deriva dalla identificazione dei gay con i gay visibili (cioè con quelli dichiarati) che effettivamente, nella grande maggioranza dei casi, non sono sessualmente inibiti. Se si considerano però i gay nella loro globalità, includendo i gay non dichiarati, le cose cambiano radicalmente e l’inibizione sessuale risulta nettamente prevalente. Per moltissimi gay la masturbazione è in assoluto l’unica forma di sessualità vivibile. Si ritiene comunemente che questo fatto derivi da fattori condizionanti di tipo sociale e comunque esterni, connessi alla non visibilità dei gay non dichiarati e al rischio che le relazioni gay comportano soprattutto in termini di emarginazione sociale. Spesso tuttavia, se si analizzano i discorsi dei ragazzi che cercano di motivare il fatto che non praticano nessuna forma di sessualità di coppia, si resta stupiti perché ci si trova di fronte all’ipotesi del classico evento a probabilità statistica tendente a zero. Una tipica riposta potrebbe essere la seguente: “Non avrei nessun problema a fare sesso con un ragazzo che mi volesse veramente bene, che fosse convinto di quello che fa, che mi piacesse veramente. Se riuscissi a vederlo come il mio ragazzo in tutti i sensi e con lui ci fosse uno scambio totale, beh non avrei proprio nessun problema a vivere con lui la mia sessualità”. I “se” sono così numerosi e così radicalmente condizionanti da ridurre la probabilità dell’evento praticamente a zero. In effetti, molti ragazzi gay, molti più di quanto non si creda, quando hanno la possibilità di un contatto sessuale reale con un ragazzo non la realizzano, in buona parte chiedono delle garanzie prima di spendere la propria sessualità, cosa legittima ma certamente scoraggiante per l’altro ragazzo. In sostanza l’investimento della propria sessualità è valutato sulla base di un rapporto costi/benefici. Questo significa che la spinta verso l’eros di coppia è debole e che l’innamoramento non è una forma di trasporto capace di otrepassare la razionalità. Cioè anche il sesso è razionalizzato. Perché due ragazzi possano accettare reciprocamente la loro fisicità sessuale come elemento costituente della vita ordinaria, e non come sola avventura, è necessario che si conoscano bene e che l’affidamento reciproco sia totale, il che, stante l’idea della sessualità come investimento, spesso non si realizza.