DUE RAGAZZI GAY E L’INCUBO DEL SUICIDIO

Stava lì da una parte, non mi guardava nemmeno. Gli ho chiesto che cosa avesse ma mi ha dato un’occhiata terribile, poi mi si è rivoltato contro, mi ha proprio aggredito, a pugni, a calci, con una rabbia terribile, ho fatto fatica a difendermi, urlava, aveva la faccia contorta, urlava contro di me, insulti terribili, in quei momenti mi odiava, si scagliava contro di me per farmi male, per graffiarmi, per lasciami addosso un segno vivo della sua rabbia. Ero più forte di lui ma lo trattenevo a stento, sembrava una furia scatenata. Mi si è buttato addosso con tutta la forza anche se non si reggeva nemmeno in piedi, è caduto per terra, si è rotto un labbro, sanguinava profusamente, si è rialzato da terra e mi si è buttato di nuovo addosso era sudato, stravolto. Io non sapevo che fare, non capivo perché era in quello stato, che cosa gli stava succedendo, poi sono riuscito a prendergli i polsi, li ho afferrati con tutta la forza e li ho trattenuti, faceva resistenza come poteva, poi è crollato ed ha cominciato a piangere e a disperarsi. Mi diceva che lo avevo tradito, che lo avevo lasciato solo, che lui non poteva stare solo, che non ce la faceva a stare solo, che io non capivo nulla, che non capivo che aveva bisogno di me. Si è rannicchiato per terra e continuava a piangere, a tremare, a respirare affannosamente, a singhiozzare in modo violento. I minuti sono passati, era stremato ma era meno agitato ma la sua disperazione non lo abbandonava per un momento. Mi sono inginocchiato e l’ho preso in braccio, non ha fatto alcuna resistenza, l’ho portato sul letto, ho accostato una sedia e gli ho preso la mano, mi guardava spaurito, ho poggiato la mia fronte sulla sua, gli accarezzavo i capelli. Siamo stati così un tempo lunghissimo, poi gli ho chiesto: “Marco, che c’è?”, mi ha risposto: “Non mi devi lasciare solo, mai!! Non ce la faccio più a vivere! Oggi c’ho provato… ma non ho avuto il coraggio…” Allora ho capito. Gli ho detto: “Adesso è passata, stai calmo, adesso è passata. M’ha detto: “Ma perché ti sei messo con me? Ma perché non mi lasci morire? Io non ne posso più… non devo rovinare la vita anche a te… io so solo rovinare la gente… non so fare altro… io non so fare altro…” Gli ho detto: “Adesso non dire più nulla… io non ti lascerò… e tu questo lo sai. Anch’io ho paura… ho paura anche di te, soprattutto di te, di questi tuoi gesti, di questi momenti assurdi in cui potresti distruggere te e me, insieme… io di questo ho paura, lo sai che di questo ho paura…” “Tu mi odi perché ti ho rovinato la vita… dillo, è così! Ti potevi trovare un ragazzo come si deve e invece ti sei preso uno come me… ma perché?” “Forse perché ti sento molto più vicino di quei ragazzi come si deve, lo so che ne hai combinate di tutti i colori, lo so che qualche volta mi ammazzeresti perché non sono come mi vorresti e io ho paura… Marco io ho paura per te per me… è più difficile di quanto pensassi, molto più difficile… Tu non mi puoi lasciare solo… io non posso rimanere solo, senza di te. Ricordatelo Marco, il mio destino è nelle tue mani, sei tu che lo puoi distruggere o che lo puoi cambiare… Marco, tu mi vuoi bene?” “Sì… ma io ti faccio soffrire…” “E’ vero… Marco, come ti senti?” “Vuoto, completamente vuoto, non riesco nemmeno a pensare” “vuoi un bicchiere d’acqua?” “No… sì, sì” “Te la prendo subito”. Ha bevuto avidamente, poi si è rimesso steso, sembrava tranquillo, gli ho tolto le scarpe e gli ho buttato addosso una copertina, poi gli ho ripreso la mano e l’ha stretta, ho sentito la forza nella stretta della sua mano, l’ho guardato negli occhi, ha accennato un sorriso ma solo un stante, poi ha scosso la testa e ha chiuso le palpebre come se non volesse guardare più, ho sentito il suo respiro farsi più rumoroso come di uno che dorme, era avvolto in una specie di torpore ma non tranquillo, come se l’agitazione si fosse rintanata nel profondo. L’ho scosso “Marco, che c’è?” M’ha risposto soltanto: “Lasciami solo, ti prego, lasciami solo…” Mi è presa una paura terribile e l’ho abbracciato strettissimo, ma era passivo, nessuna reazione. L’ho scosso più forte. Mi ha detto soltanto: “Lo so che mi vuoi bene ma non vale la pena” e ha girato lo sguardo. Mi sono steso sul letto, gli ho preso la mano, questa volta neppure reagiva, era inerte del tutto. Non sapevo che avrei fatto l’indomani o i giorni seguenti, mi prendevano momenti di angoscia profonda , era la stessa angoscia che stringeva Marco. L’ho scosso di nuovo, in modo violento, gli ho detto: “Adesso mi devi ascoltare”. Ha aperto gi occhi e m’ha detto: “Stai male anche tu?” Mi sono messo a piangere e non sapevo che dire, mi venivano solo le lacrime, volevo abbracciarlo ma non ci riuscivo, ero del tutto incapace di agire. M’ha poggiato il capo sul petto e m’ha stretto la mano, è rimasto così per qualche secondo poi ha alzato lo sguardo e m’ha detto: “Non fare così, ti prego non fare così…”, poi m’ha sollevato di peso e m’ha abbracciato strettissimo, m’ha guardato fisso negli occhi e ha cominciato anche lui a piangere, m’ha detto di nuovo. “Non fare così… ti prego non fare così”, io l’ho guardato negli occhi e m’ha fatto un sorriso, un sorriso di qualche secondo, un sorriso dolce, poi di nuovo m’ha stretto fortissimo e m’ha detto: “Mai più, ti giuro… mai più!”

DUE RAGAZZI GAY E L’INCUBO DEL SUICIDIOultima modifica: 2007-10-15T23:10:45+02:00da gayproject
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “DUE RAGAZZI GAY E L’INCUBO DEL SUICIDIO

  1. Angosciante questa storia.
    Davvero terribile.
    Il fatto poi che qualcuno ti dica che vive solo x te è una cosa spaventosa,ti fa venir davvero l’angoscia e la paura…

I commenti sono chiusi.