LA COSA FONDAMENTALE

 

Ho conosciuto qualche anno fa due ragazzi, Stefano e Matteo… li ho conosciuti separatamente e in situazioni molto diverse, abbiamo avuto solo occasione di parlare un po’, all’inizio non sapevo neppure che si conoscessero… due bei ragazzi, non personaggi da film, solo due bei ragazzi, come ce ne sono tanti, alti ma non troppo, belli, ma non atletici né palestrati. Stefano più chiaro di capelli, Matteo più scuro, di Stefano mi aveva colpito il sorriso disarmante, di Matteo il senso di sicurezza di sé. Matteo mi era sembrato più grande della sua età, Stefano aveva ancora qualcosa di adolescenziale, soltanto dopo ho saputo che Stefano aveva, invece, un anno più di Matteo, anzi un anno e otto mesi… una cosa che non avrei mai immaginato. Conoscevo la famiglia di Matteo molto alla lontana, di Stefano non sapevo praticamente nulla.

Avevo incontrato Matteo con i suoi genitori mentre ero i vacanza a Fregene, i suoi mi avevano invitato a pranzo a casa loro e per il tempo della villeggiatura, non più di tre settimane, avevamo avuto modo di frequentarci un po’, all’inizio in modo piuttosto formale. Io ero più grande dei genitori di Matteo e il colloquio era difficile. Mi ha detto che doveva frequentare l’ultimo anno del Liceo e mi ha parlato dei suoi progetti per l’Università: Fisica… ma negli Stati Uniti… perché negli Stati Uniti… ecc. ecc.. All’inizio ho solo ascoltato passivamente, poi qualche interrogativo mi si è acceso nel cervello. Secondo la mia consolidata abitudine non ho fatto domande e non ho manifestato nessuna perplessità. Matteo, con l’andare dei giorni si è sciolto un po’ e allora gli ho detto la mia. Gli ho detto che lo studio conta, per carità, ma la vita reale è essenzialmente quella affettiva. La sua risposta è stata disinvolta ma sostanzialmente evasiva, un gioco di dribling da calciatore professionista. I punti interrogativi nel mio cervello si andavano moltiplicando, ma siccome sbagliare di grosso in certe cose è facilissimo, non ho fatto una piega ed il discorso è tornato sull’Università e sul lavoro che sembrava essere l’unico elemento fondamentale dei discorsi di Matteo. Matteo era indubbiamente un ragazzo di una intelligenza notevolissima e, direi pure, di una cultura vastissima a un livello veramente non comune… qualche volta, parlando di Fisica, mi aveva messo in difficoltà e la Fisica per me non è una campo sconosciuto, per non parlare poi della letteratura sulla quale il dialogo diventava in sostanza un monologo, io mi limitavo ad ascoltare e, per quanto ne posso capire, era ferratissimo. Matteo era figlio unico e i genitori avevano investito su di lui tutte le loro aspettative e, indubbiamente, le prospettive sembravano ottime. Matteo aveva molte amiche, usciva spessissimo con loro ma aveva pochi amici, tutti legati al mondo della scuola, la sua conversazione era gradevole ma in qualche modo sfuggente, elegante ma quasi disimpegnata, la risposta che ti dava era quella che era logico aspettarsi. Credo pure che Matteo si sia fatto parecchie domande su di me ma, anche lui prudentissimo, ha sempre evitato qualsiasi discorso che potesse sembrare troppo diretto. Finite le ferie ho perso i contatti con Matteo… anzi, non è esattamente così, mi ha scritto per farmi gli auguri di buon compleanno, ma ovviamente una cosa un po’ formale. Dopo qualche mese l’ho risentito perché voleva portare Fisica agli esami di maturità. Non so perché, ma suo padre, che era stato mio collega, pensava che io fossi onnisciente in particolare sui problemi della relatività e della meccanica quantistica anche se in effetti non andavo oltre l’elettromagnetismo classico. Matteo mi mandò per e-mail delle bozze relative ad argomenti che voleva trattare e che aveva sviluppato perché gli dessi il mio parere. La cosa per me fu un problema, dovetti documentarmi e studiare per non dire sciocchezze ma alla fine riuscii a venirne a capo. Diedi a Matteo qualche libro di Fisica moderna che non avevo mai letto, dopo averlo stropicciato un po’ per dargli l’aria del libro molto consultato. Parlammo più volte dell’Università, del futuro ecc. ecc., ma mai più della vita affettiva. Matteo era su un altro pianeta.

L’incontro con Stefano avvenne in modo completamente diverso. Avevo una perdita d’acqua dal mio scaldabagno è avevo chiamato il mio idraulico, quello che viene sempre a casa mia ad accomodare i tubi quando se ne rompe qualcuno. Il signor Romano non poteva venire e mi disse che mi avrebbe mandato il figlio che era bravissimo, così almeno mi disse. Fissammo l’appuntamento per le quattro del pomeriggio. Alle quattro e un minuto andai ad aprire la porta e mi trovai davanti a Stefano. Non sapevo che dire, si presentò con un sorriso incredibile, come se avesse bisogno di essere accettato, lo feci entrare, parlammo solo di tubi e di scaldabagni… io rimasi lì, cercai di fare del mio meglio nel passargli gli attrezzi, nel fargli vedere il rubinetto centrale dell’acqua e in altre cose del genere ma Stefano sapeva bene come muoversi. Io continuai a dargli del lei, dopo un quarto d’ora mi disse che non era abituato al lei e che preferiva che gli dessi del tu, gli dissi che doveva dare del tu anche a me ma non volle e cominciò un discorso stramente dissimmetrico. Io pensavo che avesse sì e no sedici anni, ma mi disse che ne aveva diciannove e mezzo e che doveva frequentare ancora l’ultimo anno del Liceo perché un anno era stato bocciato… A finire il suo lavoro ci mise tre quarti d’ora, mi chiese settanta euro, provai a dargliene cento ma ne prese solo settanta e mi diede il resto e io evitai di insistere. Gli chiesi se, secondo lui, c’erano altri lavori da fare. Mi rispose che lo scaldabagno doveva essere cambiato perché era pieno di calcare e che lo scarico della doccia tirava pochissimo perché probabilmente il lavoro era stato fatto senza le dovute pendenze. Gli domandai se lui sarebbe stato in grado di sistemare la situazione, mi disse di sì, e che ci sarebbero voluti circa 500 euro per fare un lavoro fatto bene, e settecento per cambiare anche i meccanismi della cassetta di scarico del water e il rubinetto della lavatrice e qualche altra cosetta, ma aggiunse che, se volevo, mi avrebbe mandato suo padre. Gli dissi che mi fidavo di lui e che, con calma, quando aveva tempo, la cosa si poteva fare benissimo.

Quando andò via mi fece un sorriso pieno di luce che non dimenticherò facilmente. Ci rimasi solo un po’ male, pensai che i lavori li avrebbe fatti il padre e che non lo avrei rivisto e in fondo non sapevo nemmeno il suo nome. Ma non fu così, mi richiamò due giorni dopo e mi disse che il lavoro si poteva fare nel fine settimana, se per me andava bene, nel presentarsi mi aveva detto: “Sono Stefano, il figlio del signor Romano…”, adesso sapevo il suo nome…

Venne verso le quattro il sabato pomeriggio, in macchina, con una borsa pesantissima di attrezzi, ci salutammo più cordialmente della prima volta ma senza darci la mano. La conversazione fu breve, si mise subito al lavoro. Era molto attento a non fare danni. Io per un po’ rimasi lì, poi me ne andai in cucina, sentivo i rumori che provenivano dal bagno dove Stefano stava lavorando. Preparai due bei panini col prosciutto uno più grande per lui e uno molto più piccolo per me, tirai fuori dal frigo due lattine di Coca Cola e sistemai tutto su un vassoio, alle sei in punto andai a vedere a che punto erano i lavori. Il piano della doccia era stato rimosso, i tubi erano ormai in vista ma era evidente che il lavoro avrebbe richiesto tempo. Mi disse subito:

“Se non le dispiace vorrei finire almeno di sistemare lo scarico della doccia… però non ci posso mettere meno di un paio d’ore…”

E allargò le braccia come per dire che non ci si poteva fare nulla. Io mi affrettai a rispondere.

“Io non ho nessun problema… se vuoi qui c’è un panino e una Coca Cola, se vuoi fare merenda…”

Gli occhi gli si illuminarono.

“Grazie… ma non doveva… “

Poi andò nella cucina per lavarsi le mani ma non volle mettersi seduto per non sporcare la fodera della sedia. Io tolsi la fodera e lo invitai a sedersi. Era visibilmente stanco… fisicamente stanco, continuò a parlare dei lavori, poi mi disse che l’indomani sarebbe venuto solo di mattina perché di pomeriggio doveva studiare perché aveva un compito in classe importante. Gli dissi che io non avevo nessuna urgenza e che poteva fare quello che voleva. Rispose solo con un sorriso. Stava per prendere istintivamente il panino piccolo ma gli dissi che il suo era quell’altro e anche qui non mancò un sorriso. Mangiò rapidamente il panino e si rimise subito al lavoro. Poco dopo le sette e mezza i tubi erano sistemati e il piano doccia era al suo posto ma doveva essere murato una decina di centimetri più in alto di prima. Mi disse che l’indomani avrebbe portato lui tutto il necessario e pure le mattonelle adatte, perché ne aveva di identiche alle mie. Mi limitai a dire che andava bene e se andò via quasi di corsa. La domenica venne verso le otto e rimase a lavorare fino fin dopo le due. Alle due, il piano doccia era sistemato, lo scaldabagno nuovo era al suo posto e anche gli altri piccoli lavori erano stati fatti, rubinetti e tutto il resto. Non ho mai capito come abbia fatto a staccare dal muro da solo il vecchio scaldabagno e a mettere su il nuovo, tanto più che il vecchio era pieno di calcare e doveva essere pesantissimo, mi spiegò che ne aveva tirato fuori prima quasi due cassette di sassi di calcare per alleggerirlo. Mentre lavorava ci trattenemmo a parlate a lungo e non solo di scaldabagni. Dissi, in sostanza, a Stefano le stesse cose che avevo detto a Matteo circa il fatto che la vita effettiva è, secondo me, la cosa più importante, ma Stefano non sfuggiva il discorso, dopo lunghe pause rispondeva cose che non avevano nulla né di generico né di formale. Il discorso proseguì così tutto il pomeriggio, senza distrazioni, in un’atmosfera di grande libertà reciproca. Stare lì a parlare aveva un senso, non erano solo parole ma era una comunicazione reale. Mi dispiaceva proprio che il lavoro fosse finito. A un tratto mi chiese una cosa che non mi sarei mai aspettato, mi chiese se mi intendevo di computer. Gli dissi che avevo alcuni siti in internet ma rimasi sul generico, mi disse che lui aveva un blog e io gli chiesi se potevo vederlo… mi disse che era una cosa un po’ particolare ma non disse di no in modo deciso, si limitò a dirmi che lo averi potuto vedere a mio rischio e pericolo, non volle che lo aprissi subito, mi diede l’indirizzo e basta. Pagai il lavoro, mi sorrise in modo dolcissimo senza darmi la mano e se ne andò, prima di chiudere la porta mi disse:

“Il sito però lo deve vedere veramente!”

Risposi che lo avrei fatto immediatamente e così fu. Aprii internet, inserii l’indirizzo e mi trovai di fronte ad un blog incredibile… Un blog chiaramente gay di una dolcezza e di una spontaneità totale. Ovviamente non c’erano riferimenti di carattere personale troppo esplicito, i commenti non mancavano ma erano sicuramente commenti di persone conosciute in Internet, non di amici o di compagni di scuola. Alcuni commenti erano formali, i tipici commenti che ostentano buoni sentimenti e comprensione, in sostanza ipocrisie, ma qualche commento era  delle stessa qualità del blog. Evidentemente il blog per Stefano e non solo per lui era una cosa estremamente importante. Il blog non era recentissimo, aveva poco più di un anno e vi si poteva leggere la storia vera di Stefano. Piedi per terra, poca fantasia ma tanto desiderio d’amore e, purtroppo, tantissima solitudine, in fondo, la nota dominante del blog di Stefano. Mi sono chiesto perché Stefano mi avesse fatto leggere il suo blog. Evidentemente una scelta come quella aveva un senso preciso ed era stata elaborata durante tutta la mattinata perché era una scelta rischiosa. Non ci pensai due volte e risposi a Stefano sul suo blog, un blog Google, usando una mia identità collegata a un mio sito gay. Nella risposta ripresi un po’ il discorso sul progetto generale della vita e sull’importanza della dimensione affettiva, usando le stesse parole, sia le sue che le mie, che avevamo usato la mattina. Cercai di essere molto attento a non esagerare per evitare di spaventare Stefano. Più che usare formule entusiastiche cercai di scrivere una risposta lunga e seria, parlando anche di me, in modo che si potesse creare una fiducia meno generica e che avesse modo di conoscermi un po’ meglio. Feci uno sforzo di chiarezza e di onestà al quale non ero assolutamente abituato ma ne sentivo l’urgenza e l’obbligo morale. Rilessi più volte il testo e alla fine lo inserii nel suo blog. Ovviamente tornai decine di volte quel pomeriggio sul blog di Stefano ma non trovai nulla che lasciasse pensare ad una reazione al mio commento. Siccome certamente Stefano lo aveva letto ci rimasi malissimo e pensai di avere commesso delle imprudenze che potevano aver prodotto solo perplessità. Nel tardo pomeriggio aprii la posta e ci trovai una graditissima sorpresa, una mail che Stefano mi aveva indirizzato tramite il mio blog. In sostanza si trattava di poche righe e volutamente scarne, ma tra le righe si intuiva una certa soddisfazione. Mi diceva che avrebbe letto i miei blog e che si sarebbe rifatto vivo presto. La cosa mi rese incredibilmente felice. Tornai sul mio blog e cominciai a scrivere dei post che erano in sostanza delle lunghe lettere indirizzate a Stefano. Più o meno ogni due giorni ricevevo una sua mail. Gli parlai di me come credo di non aver mai fatto con nessuno… Cominciò una fitta corrispondenza, all’inizio tutta basata sul senso di solitudine, poi via vita più vicina al quotidiano… mi parlò di come si trovava a scuola, certo non molto male ma nemmeno bene, un ambiente accettabile nella misura in cui si accetta di recitare la parte dovuta. Poi cominciò a parlarmi di un suo compagno di scuola, di nome Matteo, mi disse che Matteo era sicuramente etero ma che lui ne era innamorato e non aveva mai avuto la faccia nemmeno di accennargli una cosa simile, altrimenti lo avrebbe perso del tutto, poi mi disse che era il dio della Fisica e mi disse che aveva preparato una tesina monumentale sulla meccanica quantistica. Gli chiesi il cognome di Matteo e lui mi disse … A quel punto ne ebbi la certezza… eravamo in chat e glielo dissi subito.

“Lo conosco, è il figlio di un signore che è stato mio collega, l’ho conosciuto l’estate scorsa e stiamo in contatto via e-mail”

Qui il discorso si fece più diretto, Stefano voleva sapere che cosa sapevo di Matteo, ma io non ne sapevo nulla al di là delle sue scelte per la facoltà universitaria. Stefano mi chiese se Matteo sapesse nulla di me o di lui e gli risposi che non sapeva assolutamente nulla. Per un verso ne fu tranquillizzato ma per l’altro si sentì più lontano da Matteo e questo lo fece stare male. Mi chiese che cosa avrei fatto al suo posto ma io non avevo certo consigli da dare. Sentire il disagio di Stefano mi dispiaceva molto ma le scelte potevano essere soltanto sue. Il blog di Stefano diventò un vero diario d’amore che Matteo non avrebbe mai letto. La storia stava prendendo il tipico andamento delle storie impossibili delle quali ho fatto anch’io la mia buona collazione. Poi venne, e direi per fortuna, il periodo degli esami di maturità, Stefano dovette pensare a problemi concreti, a studiare, a prepararsi, e almeno per un po’ mise da parte la sua dipendenza da Matteo perché ormai si trattava proprio di questo. Quando stavamo in chat aleggiava su di noi un grande interrogativo: Matteo è o non è gay? In sostanza tutto sembrava concentrarsi su questo punto. Ma passarono anche gli esami, ovviamente Matteo ne uscì con cento e lode, Stefano con un settentasei, secondo me più che dignitoso, ma secondo Stefano un motivo sufficiente per andarsi a nascondere dalla vergogna. Quando ormai i giochi sembravano del tutto chiusi accadde l’imprevedibile, Matteo invitò a casa sua tutti i suoi compagni di scuola e fece in modo del tutto inatteso almeno all’apparenza, il suo coming out pubblico. I genitori di Matteo erano presenti, ci fu anche la torta e le foto si sprecarono. Stefano era presente ma si comportò come da manuale, fece solo i discorsi che ci si aspettava che facesse e non aggiunse una sola parola…. La sera ne parlammo a lungo in chat, ormai la risposta al problema di fondo l’aveva avuta. Decise di buttarsi. Il giorno seguente chiamò Matteo, avrebbe voluto incontrarlo subito ma Matteo era impegnato, lo vide solo prima di cena e per pochi minuti, gli disse di essere anche lui gay ma non gli disse che era innamorato di lui. La riposta di Matteo fu interlocutoria, in sostanza fu fredda. Stefano si aspettava una risposta entusiastica e si sentì gelare. In effetti la regia del coming out era una manovra di pubbliche relazioni nel più puro stile aziendalistico. Poi Matteo parlò dei suoi progetti per l’Università e per il futuro e Stefano si rese conto che tutto questo con lui non aveva nulla a che vedere, che la scala dei valori di Matteo era un’altra. Prima aveva pensato che avrebbe potuto renderlo felice ma ormai si rendeva conto che non sarebbe mai successo nulla di simile. Che vuol dire essere gay e incontrarsi? Cosa che è già una eventualità rara. Vuol dire forse avere un mondo comune? Stefano si era reso conto che non era affatto così. Nei giorni successivi sentii spesso Stefano in chat, era depresso, amareggiato, avrei fatto qualunque cosa per farlo stare meglio ma potevo solo chattere con lui qualche volta, era anche per lui il tempo della scelta del futuro, ma Stefano non aveva più voglia di scegliere nulla, il futuro non gli sembrava avere più alcun senso, tendeva ad un atteggiamento rinunciatario: lavorare con il padre, rinunciare a proseguire gli studi e così via. Faceva i conti sull’avvicinarsi del ventesimo compleanno come uno che sta per compiere sessant’anni, tendeva a svalutare le sue possibilità. In quel momento siamo arrivati ai ferri corti, gli ho detto nel modo più drastico “Chi non ti vuole non ti merita! Basta! La devi finire di pensare a Matteo! Matteo adesso non sta pensando a te… ma in fondo che cosa avete in comune? … Il fatto di essere gay? Solo questo? Ma è poco! Pochissimo!”. Ma Stefano non reagiva, qualche volta, piuttosto raramente, ci siamo incontrati di persona e l’ho visto piangere per il senso di frustrazione. Non sapevo come comportarmi. Poi un giorno è venuto da me e mi ha detto: “Ma che facoltà dovrei fare?” e abbiamo parlato molto. L’università non è solo un luogo dove si studia ma anche un luogo dove si incontra tanta gente giovane e questo è fondamentale. Il giorno appresso lo abbiamo passato su Internet a cercare i siti delle diverse facoltà. I post sul suo blog si sono interrotti, ormai stava entrando in un’atmosfera operativa, io ero felice perché lo vedevo felice o almeno non depresso. Si è iscritto a Scienze Politiche, secondo me all’inizio faticherà un po’ ma poi ce la farà. Adesso parla solo dell’Università, del volersi laureare presto per cominciare a lavorare presto. Per un verso sono contento del piglio con il quale sta per cominciare l’Università, mi sembra che sia partito col piede giusto, ma sarò felice solo quando lo vedrò veramente felice nel senso profondo del termine, non mi basta che non sia depresso, perché non è giusto che Stefano non sia felice, e in fondo penso qualche volta anche a Matteo e al fatto che prima o poi si accorgerà di avere allontanato un ragazzo che lo amava veramente, di aver preferito la carriera alla vita, e la colpa non è nemmeno di Matteo. Quando fin da bambino sei sottoposto a una continua pressione ambientale che vuole fare di te il primo della classe e poi il primo della vita, la tendenza ad essere il primo ti si stampa dentro in modo così radicale che non te ne puoi più liberare, devi essere il primo a qualunque costo, anche a costo di buttare via la tua felicità, eppure sta scritto che i primi saranno gli ultimi…

LA COSA FONDAMENTALEultima modifica: 2007-08-30T16:22:36+02:00da gayproject
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