IL ROMANZO DI UN INVERTITO NATO (quinta parte)

Post scriptum . – Secondo documento

IV . – Nuove confessioni.

Ho appena letto stamattina le pagine terminate ieri sera. Non ho fatto del resto che scorrerle; ho provato a gettarle nel fuoco, non l’ho fatto, cosa che avrei rimpianto molto: quelle pagine possono aver un qualche interesse per voi.

Per questa stessa ragione, sto per riempire una lacuna che ho volontariamente lasciato, per falsa vergogna, ma che non sfuggirebbe certamente al vostro occhio chiaroveggente. Dato che ho confessato tanti errori, posso anche confessarne altri e mostrarmi al completo.

Avrei voluto risparmiarmi questa storia così sporca, ma non avreste capito come un ragazzo di diciannove anni, così completamente vergine, abbia potito corrompere così facilmente un uomo di venticinque che aveva già frequentato parecchie donne: cosa che mi era e mi è ancora assolutamente sconosciuta e che io non voglio conoscere.

Anche se profondamente corrotto moralmente, e pur avendo sognato dalla più giovane età le depravazioni più raffinate, non persi quella che si potrebbe chiamare la mia innocenza se non all’età di sedici anni. Fino ad allora mi ero contentato di dissolutezze immaginarie e di piaceri solitari.

Il mio primo precettore fu un amico di casa che era stato amico di gioventù di mio padre. Era un ex-capitano della cavalleria piemontese, che aveva fatto tutte le guerre d’Italia, nelle quali, lui diceva, aveva pesantemente sconfitto gli Austriaci.

Passava per un perfetto depravato e si diceva nell’orecchio che avesse vissuto per parecchio tempo con un ragazzo che lui aveva aiutato a mangiarsi i tre quarti della sua eredità. Questo capitano viveva della sua pensione e dei numerosi commerci di cavalli che faceva.

Aveva molto viaggiato ed era stato molto tempo in Ungheria. Anche se di basse estrazione, frequentava le migliori casa. Le signore non lo potevano soffrire a causa dei pochi riguardi che aveva per loro nei gesti e nei discorsi; gli uomini soprattutto quelli dello sport lo ricevevano a braccia aperte.

Veniva a trovarci qualche volta ma all’inizio non prestava nessuna attenzione a me. Io mi sentivo comunque allora attirato verso di lui e gli manifestavo molta simpatia. Era un uomo bruno e di un’altezza enorme e di una struttura che sembrava indistruttibile in cui risaltavano solamente i muscoli d’acciaio che tenevano il posto della carne che sembrava non esistere affatto. Per me era come un tipo di vecchio barone tutto bardato di ferro e non l’ho mai visto senza pensare a uno dei personaggi di Ivanhoe. La sua testa era superba, magra, bruna come quella di un mulatto, con un gran naso curvo, piegato leggermente a sinistra. I suoi occhi neri e infossati brillavano di uno scintillio straordinario. I suoi lunghi baffi neri lasciavano vedere una bocca ben contornata, beffarda, dalle grosse labbra brune e con i denti forti e bianchi. La testa enorme era quasi del tutto senza capelli e coperta solo dietro e di lato da una specie di capigliatura irta nera. Le mani erano in armonia con tutta la persona, la voce era rude e profonda. Tutta la sua figura era atletica, la forza completamente erculea. Con le mani rompeva un ferro di cavallo. Aveva un modo di guardare le persone che vi faceva abbassare gli occhi e non risparmiava nessuno.

Con me si permetteva le più grandi familiarità, mi solleticava il mento e quando mi incontrava nel corridoio o lo accompagnavo alla porta, mi dava dei pizzicotti o mi accarezzava a lungo, anche in presenza di mio padre che non ci vedeva nulla di male.

Come vi ho già detto io non conoscevo allora  nulla se non per sentito dire, Fremevo dal desiderio di conoscere finalmente qualcosa da me stesso e il mio sangue era in movimento quando quell’uomo mi toccava. Un giorno parlando a mio padre delle ferite che aveva ricevuto in guerra, voleva mostraci una cicatrice che aveva sulla coscia e di cui si era vendicato spaccando il cranio al soldato tedesco che gliel’aveva fatta. Si sbottonò i pantaloni e per mia grande gioia ci mostrò una coscia enorme, abbronzata e luccicante piena di peli neri e duri, attraversata da un largo squarcio rosa che mi sembrò molto carino in mezzo alla carne scura e ai peli che gli facevano come un bruno contorno.

Tentai di vedere quello che nascondeva sotto la camicia ma non vidi nulla se non dei rovi densi e neri, che mi colpirono fortemente. Io non provavo comunque nessun affetto per quest’uomo, ma mi sembrava così maschio che io desideravo fortemente di appartenergli, almeno per qualche istante. Dopo quel giorno, quando mi guardò ne fui molto emozionato, arrossivo e quando mi toccava, fremevo di piacere. Anche oggi scrivendo queste righe, sento rinascere questo sentimento che vorrei soffocare e sento che, se lui fosse lì in questo momento, mi abbandonerei  a lui.

Da uomo abituato a questo tipo di avventure capì che risultato avrebbe potuto ottenere dalla mia bella giovinezza e dal mio charme di bella ragazza travestita da ragazzo. Mi invitò ad andare a vedere dei cavalli che erano nella sua scuderia e che, penso, stavamo per partire per non so dove. Ci andai tutto pieno dal desiderio di un’avventura nella quale avrei potuto alla fine apprendere qualcosa e avrei potuto consegnarmi al mio gusto che, ancora mai soddisfatto, aveva preso delle proporzioni enormi e non mi lasciava nessun riposo. Dopo la visita ai cavalli, che ammirai molto anche se non ne capivo niente, mi fece salire nel suo appartamento che si componeva si un salone al livello del pianerottolo, di una camera da letto e di un bagno. Il suo garzone di stalla faceva il suo servizio e una vecchia portiera l’aiutava.

Entrando in questa camera mobiliata, tutta affumicata e piena di odore di sigaro e di cuoio e dove tutto mi attirava, ero come inebetito e il desiderio mi aveva dato delle palpitazioni così violente che quasi soffocavo e mi sentivo le estremità gelate. Qualche volta provo ancora questa sensazione crudele e deliziosa.

Mi fece sedere accanto a lui sul suo sofà accarezzandomi, ridendo in modo forzato e guardandomi con degli occhi così balordi che ne avevo paura pur essendone affascinato. Lui non sapeva che dire, io mi vergognavo ed ero rosso come un peperone. Mi strinse le mani, prendendomi sulle ginocchia cominciò a baciarmi sull’orecchio sussurrandomi delle cose a voce così bassa che io non lo sentii proprio. Eravamo tutti e due in silenzio, io restavo immobile sulle sue ginocchia mentre lui continuava a baciarmi la testa, le gote e il collo. Io mi sentivo morire dal piacere, perché non avevo mai provato una simile voluttà. Poi si sollevò in piedi dicendomi: “Vuoi tu? Vuoi tu?” con una voce soffocata che mi faceva quasi paura. Io non risposi, tanto ero turbato.

Si alzò bruscamente, andò a chiudere la porta a chiave, chiuse quasi completamente anche le tende della finestra, poi ritornò verso di me che ansimavo di desiderio, di vergogna e di paura. Mi spogliò in un batter d’occhio, percorrendo con le sue mani tutto il mio corpo, mi tolse perfino le scarpe e le calze, buttò via la camicia e mi portò come un bambino piccolo nel suo letto. In un lampo fu completamente nudo anche lui e si coricò accanto a me che ero come in un sogno e non ero più cosciente dei miei atti e dei miei pensieri.

Si stese sopra di me ansimando e gemendo fortemente, mi strinse così forte tra le braccia da chiudere anche la mia anima, e prese ad agitasi sul mio corpo. Aveva un grosso pene che agitato sopra di me mi titillava in modo molto divertente. Frattanto mi succhiava le orecchie mi infilava la lingua in bocca e palpava con le mani tutto il mio corpo. Con voce spezzata mi diceva cose folli e dolcissime. Quando emise il seme mi inondò, e non la finiva di muoversi ma muggiva come un toro. Frattanto anche io avevo emesso copiosamente il mio seme; per parecchio tempo rimanemmo aderenti uno all’altro, quasi esanimi e realmente impastati insieme; e proprio per questo facemmo fatica a staccarci.

Non avevo più alcuna vergogna in quel momento e lui sembrava del tutto felice. Emetteva dei lunghi sospiri di piacere e di soddisfazione. Dopo esserci alzati e rivestiti con cura, mi riguardai nello specchio. Fui colpito dalla strana e quasi sconvolgente bellezza che avevo in qual momento. Il mio viso era arrossato, le mie labbra rosse come il sangue, i miei occhi brillavano di tutto il loro più bello scintillio, ero fiero di me, del piacere  che avevo dato e di quello che avevo ricevuto.  Provai per il capitano quasi della riconoscenza e mi considerai come appartenente esclusivamente a lui. Lui mi fece promettere che sarei andato spesso a trovarlo, cosa che io feci con tutto l’entusiasmo. Non avevo mai avuto giornate più brillanti e più serene, mi sembrava di aver cominciato a vivere solo da quel giorno.

Da allora andai a trovarlo spesso; pranzavano insieme nella locanda, poi rimanevamo per molte ore chiusi nella stanzetta. Quell’uomo era un vero satiro e credo che non ci sia stato nessun Romano, neanche nei tempi estremi della repubblica romana, che abbia conosciuto o abbia trovato nella libidine una tale solerzia. Diceva infatti che tutte le membra devono concorrere al piacere e ciò che diceva faceva. Escogitava nuovi luoghi, movimenti alterni quasi una danza, salti e contorcimenti insoliti. Non posso dire che cosa mi abbia insegnato.

Quando mi ebbe fatto conoscere tutto il repertorio, mi disse un giorno: “Adesso bisogna che tu sia completamente mio e che io ti possieda completamente”. Io non domandavo di meglio, la mia natura mi spingeva a questo a aspiravo a conoscere le nuove e segrete voluttà. Capii ben presto quello che voleva e la cosa mi sembrò del tutto naturale e non mi rifiutai affatto. Non si aspettava un abbandono così completo da parte mia e manifestò la sua gioia. Mi disse che ero il suo tesoro, che mi amava molto e che mi avrebbe dato il più grande piacere che avrei mai conosciuto.

Io guardavo però quasi spaventato il grosso pene disteso  e validamente eretto che lui ungeva con l’olio (una crema fredda), e non credevo che quella cosa così enorme si potesse introdurre nel mio corpo così molle e delicato. Unse di olio anche me, e io sopportavo questa cosa benché fossi preoccupato nell’attesa e insieme sospeso per il desiderio. Mi collocò sul letto come al solito poi mise i miei polpacci sopra le sue spalle in modo da poter raggiungere con l’inguine il mio copro. Prese insieme le mie spalle e diede il primo colpo. Percepii un dolore così violento che con un veemente colpo lo allontanai, e benché provasse in ogni modo a tenermi immobile, mi liberai comunque da lui e saltai giù dal letto negando che avrei ricominciato da capo quella cosa.

Digrignò i denti e mi trattò molto male, mi pregò ma fui irremovibile. Vi confesso che fu il dolore materiale che mi trattenne dall’atto violento, non fu assolutamente la vergogna né alcun altro sentimento. Non facevo che cedere alla mia natura che ha voluto che io fossi così.

Dovette contentarsi delle familiarità  che si era già preso con me perché non volli mai soddisfarlo nel modo che avevo trovato così doloroso e al quale preferivo delle voluttà più delicate e che non mi lasciamo tracce. Volli poi tentare questo modo di amare col mio amico, m anche in quell’occasione il dolore fu troppo forte e ci dovetti rinunciare , benché questa volta con dispiacere.

Certo amavo molto quel centurione, che pure si sentiva totalmente maschio quando mi contemplava  così delicato e bellino. Spesso mi pregò tra le lacrime affinché sperimentassi la sua libidine da ogni parte, ma non volli mai. Lui però traeva comunque da me il massimo piacere e disse spesso di preferirmi alle ragazze più belle. Quando mi stringeva tra le braccia, mi baciava, mi succhiava, morsicava la mia carne. Un giorno mentre emetteva il seme mi morse la spalla così violentemente che ci rimase la traccia dei denti per parecchi giorni. Mai lo amai così violentemente come in quel periodo.

Non credo che posa esistere un uomo un uomo di tipo così robusto; lo ammiravo spesso nella sua prestate nudità. La sua carne aveva ed ha tuttora il colore del bronzo brunito, presenta anche tre o quattro cicatrici di ferite. Ha la forza di Ercole benché abbia cinquantadue o cinquantatré anni (cosa che non dice), dice di avere quarantotto anni, cose che però o falsa. Ha la massima virilità; racconta infatti che nella prima adolescenza, aveva rapporti sessuali tre o quattro volte al giorno, adesso però ha rapporti solo una volta al giorno, quasi tutti i giorni. Quando emette il seme, crederesti  di essere inondato, e in quel momento è preso da una così violenta voluttà  che freme e muggisce come un leone. Non ha nessun bisogno di preparazione, è sempre pronto quando vuole.

Fui molto geloso di lui, ma non tanto quanto dell’altro che era  molto più affascinante e aveva molta più grazia e giovinezza.

Questo fu il mio precettore e se ne avessi avuto uno simile nell’imparare le altre cose non me ne sarei certo potuto lamentare. Le abitudini e, dopo qualche mese, una nuova e più dolce passione  mi staccarono da lui, ma lo rividi molte volte e anche se adesso sta molto lontano, spero che venga a trovarmi di nuovo e spesso.

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IL ROMANZO DI UN INVERTITO NATO (quinta parte)ultima modifica: 2014-11-15T15:22:16+01:00da gayproject
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