CASSAZIONE E AFFIDAMENTO A COPPIE OMOSESSUALI – sentenza 601/2013

La prima sezione civile della Corte suprema di Cassazione ha depositato in data 11 gennaio 2013 la sentenza n. 601, per la cui diffusione in forma pubblica ha ordinato, a termini di legge, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi. La sentenza integrale si può leggere quiSENTENZA CASSAZIONE 601/2013 (sottolineo la correttezza de “Il Sole 24 ore” nel riportare il documento in forma integrale in modo che non ne sia possibile alcuna manipolazione o distorsione).

Analizziamo i fatti (come emergono dalla sentenza della Cassazione).

GIUDIZIO DI APPELLO

La Corte di Appello di Brescia respinge l’appello proposto dal ricorrente contro il decreto del Tribunale per i minorenni, che aveva affidato in modo esclusivo il figlio naturale del ricorrente alla madre, dando ai servizi sociali competenti il compito di regolare i rapporti del minore col padre “in un ambiente neutro e inizialmente protetto, e con facoltà di ampliamento delle loro modalità e durata sino a giungere ad incontri liberi in caso di evoluzione favorevole della situazione.”

La Corte d’appello ritiene “

– che il motivo di gravame con cui l’appellante insisteva per l’affidamento condiviso non avendo il Tribunale valutato il contesto familiare in cui vive il minore e le ripercussioni sul piano educativo e della crescita derivanti dal fatto che la madre, ex tossicodipendente, aveva una relazione sentimentale e conviveva con una ex educatrice della comunità di recupero in cui era stata ospitata, era inammissibile per genericità, non essendo specificato quali fossero le ripercussioni negative per il bambino; 

– che il rifiuto dell’affidamento condiviso e l’affidamento esclusivo del figlio alla madre erano giustificabili in considerazione dell’interesse del minore, il quale aveva assistito ad un episodio di violenza agita dal padre ai danni della convivente della madre, che aveva provocato in lui un sentimento di rabbia nei confronti del genitore, irrilevante essendo che la violenza non avesse avuto ad oggetto la madre, bensì la sua convivente, la quale era pur sempre, proprio in quanto tale, una persona familiare del bambino, mentre la dedotta difficoltà dell’appellante di accettare, data la sua origine e formazione culturale, il contesto familiare in cui suo figlio cresceva e veniva educato, non poteva alleviare la gravità della sua condotta, considerata appunto la reazione che aveva provocato nel bambino; e del resto non era neppure contestato che l’appellante si fosse allontanato dal figlio da circa dieci mesi, sottraendosi anche agli incontri protetti ed assumendo, quindi, un comportamento non improntato a volontà di recupero delle funzioni genitoriali e poco coerente con la sua richiesta di affidamento condiviso e di frequentazione libera del bambino.”

GIUDIZIO IN CASSAZIONE

Il padre del bambino propone ricorso per cassazione adducendo tre motivi. 

Il primo motivo riguarda la delega del Tribunale per i minorenni ai Servizi sociali circa le modalità degli incontri tra il padre e il figlio. Si tratta in sostanza di questioni di possibile illegittimità procedurale sui quali non ci soffermiamo.

Con secondo motivo si denuncia:

a) La contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata; 
b) L’insufficienza della medesima motivazione quanto al diniego dell’affidamento condiviso, che per legge costituisce la regola, onde la Corte d’appello avrebbe dovuto motivate b1) la ritenuta idoneità della madre all’affidamento esclusivo. “a fonte del mancato espletamento dell’indagine chiesta al Sevizio Sociale … diretta a verificare se il nucleo familiare della madre, composto da due donne, tra di loro legate da relazione omosessuale, fosse idoneo, sotto il profilo educativo, ad assicurare l’equilibrato sviluppo del minore” in relazione al diritto “ad essere educato nell’ambito di una famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio”, nonché b2) alla ostatività all’affidamento congiunto del comportamento del padre. Ma anche questi motivi sono sostanzialmente procedurali e non ci soffermeremo su di essi. 

Col terzo motivo si entra in questioni di diritto sostanziale e si ribadisce che il ricorrente aveva lamentato, in sede di appello, che il Tribunale non aveva approfondito, come richiesto dal servizio sociale, se la famiglia in cui è inserito il minore, composta da due donne legate da una relazione omosessuale, fosse idonea, dotto il profilo educativo a garantire l’equilibrato sviluppo del bambino, “in relazione ai diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, di cui all’art. 29 della Costituzione, alla equiparazione dei figli nati fuori dal matrimonio con i figli legittimi di cui all’art. 30 della Costituzione e al diritto fondamentale del minore di essere educato secondo i principi educativi e religiosi di entrambi i genitori. Fatto questo che non poteva prescindere dal contesto religioso e culturale del padre, di religione musulmana.”

La Corte di Cassazione ha ritenuto “il motivo inammissibile perché il ricorrente si limita a fornire una sintesi del motivo di gravame in questione dalla quale, invero, non risulta alcuna specificazione delle ripercussioni negative, sul piano educativo e della crescita del bambino, dell’ambiente familiare in cui questi viveva presso la madre: specificazione la cui mancanza era stata appunto stigmatizzata dai giudici di appello. Né il ricorrente spiega altrimenti perché sarebbe errata la statuizione di quei giudici di inammissibilità della censura per genericità, essendo a sua volta generico e non concludente anche l’accenno ai principi costituzionali di cui sopra.

Alla base della doglianza del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pre-giudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino, che dunque correttamente la Corte d’appello ha preteso fosse specificamente argomentata.” 

La sentenza sopra citata definisce un chiaro orientamento giurisprudenziale che tende ad allineare, anche se in via interpretativa, il diritto italiano agli orientamenti ormai consolidati in sede europea. In buona sostanza il fatto che uno dei genitori abbia una relazione omosessuale non è considerato “di per sé” ostativo all’affidamento esclusivo dei figli. Il fatto che un bambino possa avere problemi di crescita per il fatto di vivere nell’ambito di una famiglia costruita intorno ad una coppia omosessuale è considerato dalla corte mero pre-giudizio e come tale argomento senza rilevanza giuridica.

Questa sentenza, pronunciata su conforme parere della Procura Generale, è un enorme passo avanti verso un Diritto che non si basi su meri pre-giudizi ma c’è da ritenere che, proprio perché siamo in campagna elettorale, darà luogo a una serie infinita di prese di posizione e di polemiche. Intendo dire che siamo ancora lontanissimi dai livelli cui l’Europa ha chiesto ripetutamente all’Italia di adeguarsi.

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CASSAZIONE E AFFIDAMENTO A COPPIE OMOSESSUALI – sentenza 601/2013ultima modifica: 2013-01-12T15:24:00+01:00da gayproject
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